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Creaturine - Sardegna Cultura

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– Devi darci una mano, – lo pregò l’amico con la voce<br />

sovrastata dallo strepitio di gocce sul tetto.<br />

– Darvi una mano.<br />

– La febbre. Non ce la facciamo; e con quest’acqua rischia<br />

pure di peggiorare. È una brutta situazione.<br />

La casa era invasa di fiori secchi. L’odore di chiuso era<br />

insopportabile. Davvero sembrava che là dentro qualcuno<br />

avesse tenuto conservata una spoglia. Rosario aveva la<br />

schiena a pezzi. Si versò un po’ di latte in una tazza, quindi<br />

vi immerse l’intero tozzo di pane e lo tenne a fondo col<br />

cucchiaio.<br />

– Va bene, – disse infine. – Oggi ricomincio.<br />

Fu così che riprese a ossigenarsi, a frequentare i suoi<br />

malati di cuore e i dispensari. Riprese i suoi vestiti da medico,<br />

il calendario delle visite. Dopo due settimane non<br />

era ancora quello di una volta ma vi sembrava vicino. Ci<br />

stava provando. I paesi della mente fumanti di macerie<br />

tentavano una faticosa ricostruzione. Lo doveva in parte a<br />

Gabrielino Fois. Il farmacista era giunto come un pallone<br />

di salvataggio. Era una brava persona, il ricostituente che<br />

ci voleva per tirarsi su. E difatti fu così. Finita l’emergenza<br />

di morbillo i due continuarono per un po’ a vedersi. Tra<br />

una partitina a dama e una discussione scientifica il tempo<br />

sfilava ed era quanto occorreva a Rosario Vaira: parlare<br />

del più e del meno fingendo che anche questo fosse vivere.<br />

Gabrielino Fois era al corrente di tutto ma preferì non<br />

farne mai cenno delegando a semplici gesti tutta la sua<br />

comprensione. Sorrideva, chinava la testa, o rompeva il<br />

ghiaccio con una corsa verso il latte che non traboccava<br />

sul fuoco quando sentiva il silenzio diventare invadente.<br />

Era un uomo sulla cinquantina, adesso, con una cesta di<br />

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stelle filanti grigie in testa e la corporatura un po’ appesantita.<br />

Viveva da solo e non era mai stato sposato. Col<br />

suo odore da scapolo riservato, fatto di lozioni da barba e<br />

di creme alla vellutina, dava il conforto di una quotidianità<br />

che prosegue il suo corso nonostante tutto. L’uomo<br />

non si permise mai di sfiorare un solo argomento confinante<br />

col cuore malato di Rosario. Preferiva parlare di<br />

sciatiche e di malattie spinali e pure quando sulle guance<br />

del dottore spuntavano cucite a fior di pelle le iniziali di<br />

Bianca faceva finta di niente. Le volte in cui Rosario andò<br />

a fargli visita a casa lo trovò impegnato con la sua macchina<br />

domestica a rammendare lenzuola oppure tirava fuori<br />

la scacchiera per una partitina. – Mangio, – diceva pronunciando<br />

la gi con le labbra a cuore e poi lo ripeteva due<br />

o tre volte ma a bassa voce tirando via la pedina.<br />

Trascorse un altro mese. Si era in aprile. Sebbene la<br />

pioggia fosse di molto calata lo stato delle strade non era<br />

mutato.<br />

Rosario passava le mattinate addomesticando infiammazioni<br />

polmonari, i pomeriggi nel suo studio, le ore libere<br />

sempre più spesso a casa del farmacista dove una<br />

sera vennero a chiamarlo per un’urgenza.<br />

Uscì e si avviò verso la parte alta della città. Diede una<br />

monetina al bambino che lo accompagnava e salì i due<br />

gradini che portavano all’androne.<br />

L’edificio era importante ma malandato. L’atrio buio.<br />

Bussò ma nessuno venne ad aprire così s’accorse che la<br />

porta era solo accostata. Chiamò: – C’è qualcuno? posso<br />

entrare? – Certo che poteva, era stato chiamato per quello,<br />

era stato chiamato perché lui arrivasse. A piccoli passi<br />

si fece avanti lungo l’anticamera picchiando ad ogni<br />

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