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Creaturine - Sardegna Cultura

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pavimenti, spalmò unguenti ed anestetici sulle cicatrici<br />

dei muri di ogni camera. Il tempo le si stava avvitando sopra.<br />

Distingueva i pomeriggi perché da sempre, da quando<br />

era una bambina, era quella l’ora in cui riconosceva lo<br />

strusciare delle settimane lungo le pareti esterne della casa.<br />

Riconosceva la notte dai colpi d’ala delle tortorelle nel<br />

suo stomaco perché era quella l’ora in cui esse s’alzavano<br />

in volo. Il tempo le si avvitava addosso, certo, ma lei ne era<br />

consapevole e ne accettava il rischio. Tirò fuori ogni cosa<br />

dai canterani, dai cassetti, dalle cassapanche, dai bauli del<br />

sottoscala; alla luce delle fiammelle rammendò vecchie<br />

lenzuola usando rocchetti di filo dai colori addormentati.<br />

Rammendò lenzuoli, calzini, fazzoletti, aggiustò scarpe con<br />

spago e coltelli, tirò fuori ancora mantelle, calzoni, giacche,<br />

stivali e lavorò per giorni da sarta e da calzolaia senza<br />

curarsi dei giochi di ombre che sua madre le agitava contro<br />

per spaventarla, senza timore di niente ricucì, con pazienza,<br />

un punto dietro l’altro, l’orlo del precipizio, la situazione<br />

di famiglia così malamente strappata.<br />

Poi un giorno di aprile, finalmente, rientrando nella<br />

cucina vi trovò il segno che da tanto s’aspettava: il piatto<br />

sporco sulla tavola le annunciava che suo padre era tornato.<br />

Per tre giorni lo trovò nello stesso punto e lo lavò. Al<br />

quarto si decise a chiamare e disse: – Babbo sei qui? – e<br />

s’accorse di avere una voce nuova in cui, ben lavorato e ripulito,<br />

vi era il tanto odio messo da parte per sua madre.<br />

Babbo sei qui? ripeté girovagando di stanza in stanza sinché<br />

una lunga scia oscura e liquida non la guidò verso il<br />

letto dove Demetrio Pes sprofondava ubriaco. Gli avvicinò<br />

il lume al volto. Come fossero passati trecento anni<br />

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egli appariva invecchiato oltre ogni immaginazione. Una<br />

densa e lunghissima barba giallastra gli riposava sul viso.<br />

Delle sopracciglia non vi era più traccia a parte due residue<br />

striscioline color latte. I capelli si erano inselvatichiti.<br />

Dormiva profondamente con la bocca aperta e una bottiglia<br />

rovesciata sul petto. Il liquore gli aveva macchiato la<br />

camicia dipingendogli al posto giusto un cuore verde a<br />

due punte. Bianca uscì dalla camera e ripulì il pavimento<br />

dal liquore. Il giorno dopo fece sedere il padre sotto le<br />

due lanterne del sottoscala e gli tagliò i capelli. L’uomo la<br />

lasciò fare. Piccole falci di luna le ciocche precipitavano al<br />

suolo girando come eliche. Non parlavano. Non si scambiarono<br />

una sola parola per tutto quel tempo. Lasciarono<br />

al rumore del pettine intinto nell’acqua della scodella e al<br />

tocco delle forbici il compito di spiegare. E attraverso<br />

quello sciacquio, attraverso quei colpetti del metallo, Bianca<br />

ne fu certa, il padre le parlava, era finalmente certa che<br />

lui le dicesse cara Bianca. La ragazza non capì, forse era il<br />

suono di quell’intingere a tramutarsi per un istante in altro<br />

suono, forse era solo più contenta perché lui era tornato<br />

e tanto bastava a renderla più serena da immaginarne la<br />

voce o forse era davvero così, l’acqua portava messaggi<br />

per chi la sapeva leggere, per chi calandosi in un ascolto<br />

notturno fosse in grado di udire l’anziano ferroviere rivolgersi<br />

alla figlia dicendo Cara Bianca non so se potrai mai<br />

ascoltare quanto ti dico né se vorrai crederlo, ma dal giorno<br />

della mia partenza e fino ad ora, qua, di nuovo insieme,<br />

il pensiero più importante è sempre stato per te, per la mia<br />

bambina rimasta sola.<br />

La ragazza gli insaponò il viso per bene e cominciò a radere.<br />

Un bel mucchietto di capelli e boccoli di barba era<br />

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