Creaturine - Sardegna Cultura

duto il passo al più efferato nichilismo. Adelaide lo aveva
reso destinatario della propria generosità senza compromessi
d’amore, perché d’amore non ce n’era né doveva essercene
ma solo amicizia, quel sentimento più puro dell’amore
stesso, più puro persino della morte, che fa dire all’uomo
accolto all’ombra delle gonne: ti amo mia cara, ti
amo per quello che sei ora e solo ora, e che ora mi concedi,
senza promesse, senza lusinghe, senza amore, perché mi
tieni qui con te e mi parli e parlando mi liberi dai disinganni
della vita, ti amo perché non sei e non sarai mai mia,
se non amica, quello sì, amica mia.
Erano i tempi della scuola in disarmo. L’uomo un tempo
festeggiato dalle addizioni, arrivava alla donna mesto,
specchio egli stesso di tutto lo scorbuto e le meningiti e i
vaioli affastellati sulle bancate. Tornava e le si sedeva accanto
schiacciando col culo la panca della sua esistenza
rovinata, con gli avambracci poggiati sui ginocchi e la testa
china. Com’è andata lei gli chiedeva, – Com’è andata,
oggi com’è andata? – senza altro intento che quello di vederlo
sollevar la testa per guardarla e così lanciargli il segnale
muto della loro alleanza. Lui buttava gli occhi nel
fuoco, li riprendeva, sorbiva il vino, e rispondeva: – Bene.
Erano i tempi dello sfacelo, la malaria esplodeva morte
a cannonate. Una sera era tornato più tetro del solito. La
donna lo aveva accolto tra le sua braccia ancora umido di
tabelline, lo aveva stretto forte concedendogli tutta se
stessa, tutto quel po’ di corpo che ancora le restava, se di
questo egli aveva bisogno (ma non chiedermi amore,
amore mio). Lo aveva condotto in una stanza di solo desiderio,
vicina a quella dell’amore, arredata delle poche
suppellettili di cui è fatto un incontro di piedi poveri e fa-
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vole andate a male. L’uomo s’era lasciato andare come un
cencio, l’aveva baciata e accarezzata con lacrime secche, i
suoi vestiti erano finiti a terra con lo schianto dei mattoni,
come se l’intero suo Edificio Scolastico stesse disintegrandosi.
La sua pelle cosparsa di polvere di crolli sapeva
del chiuso dei cassetti, le sue ciglia parevano cucite al volto,
il respiro gli ristagnava sulle labbra. Ma poi pian piano
avevano cominciato a crescere sul suo petto aiuole ben
tenute di erba del coraggio e di partecipazione, ed il suo
corpo sollecitato da brezze più decise e rassicuranti aveva
finalmente riconosciuto l’odore dei lenzuoli. Adelaide lo
aveva capito subito. Sorridendo nel buio si era lasciata
percorrere da quelle dita colorate di gessetti come una lavagna
aperta, l’aveva preso per mano e mossi entrambi
adagio s’erano mossi cauti tra ponti di sillabari pericolanti
ancora timorosi per quella prima volta di nuovi crolli e
devastazioni. Avevano quarant’anni entrambi all’epoca,
oltre vent’anni dopo quel loro primo amore d’adolescenti.
Adelaide era già l’indaffarata bambinaia che tutti conoscevano
ma quelli, imprecazioni e moccoli, erano arnesi
di un altro mestiere; a quest’uomo, quest’uomo vinto
dai moccoli di Dio stesso - perché quando è lo stesso
Dio a smoccolare sono epidemie e strazi per tutti - lei si
dava nel linguaggio buono della sua pelle profumata di
minestra. Da allora in poi, da quel periodo di vita andata
a fondo, la loro amicizia includeva anche questo: una
stanza di puro desiderio affrescata della più limpida delle
tinte, la leggerezza. Così se passavano giorni e giorni, e
mesi, senza vedersi, lei non si tormentava affatto, non ci
pensava neppure, perché un amico non lo si attende come
un amante, non lo si assedia, non ci si ossessiona del
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