Creaturine - Sardegna Cultura
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sperato disse ancora e più forte più forte ancora da coprire<br />
lo stridio dei gabbiani ma se ti succede, se ti succede<br />
che non vieni più via, io cosa faccio? Lo vede scomparire,<br />
scomparire e riemergere più volte.<br />
Nicola riporta stoviglie dal mare, ha un piatto in mano e<br />
una forchetta tra i capelli e nelle tasche i resti della cena.<br />
Al ritorno dalle loro scorribande trovavano sempre le<br />
consorelle ad attenderli in pensiero. Le consorelle erano<br />
per lo più orrende nell’aspetto e a parte le tre o quattro di<br />
umana geometria i ragazzi trovavano quasi ributtanti tutte<br />
le altre, gentili a onor del vero, e generose e tolleranti<br />
pure ma ahimè talmente brutte e arabescate d’ogni sorta<br />
di bitorzoli e pelurie da scoraggiare ogni slancio per affetto.<br />
Dormivano nel dormitorio dabbasso le signore, ogni<br />
cella ricavata da un paravento di cartone. Pregavano, spegnevano<br />
i ceri, composte si rilassavano, e solo allora, solo<br />
allora, quando la quiete era più profonda e il cuore della<br />
notte brillava in giardino, il cielo tutto sopra il convento<br />
veniva inondato da una sarabanda di fischi, rantoli, paternostri<br />
e peti ascendenti e ordinati da lasciare stupefatti,<br />
una sequenza tersa e celeste come l’affresco d’un pentagramma,<br />
una sinfonia del corpo cosmico da tener sveglio<br />
il più sfinito dei cristiani. Nicola e Rosario venivano fuori<br />
dai loro letti, evitavano la contraerea e si inoltravano per<br />
labirinti di oscurità attraversando odori di scoli e filacci di<br />
luna presso gli acquai, a piedi nudi percorrevano ali deserte<br />
e corridoi e scalinate, davano il passo ai sonnambuli,<br />
oltraggiavano amori di ratti e scarafaggi per raggiungere<br />
le sale degli orfanettini, i più piccoli tra gli ospiti, e spiarne<br />
il sonno, carezzarne il respiro tenero, blandirne con un di-<br />
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to la fronte intorno ai sopraccigli movimentata dei sogni<br />
che a frotte traboccavano come acqua. I sogni coloravano<br />
i volti dei piccini, scivolavano lungo il loro naso e per la<br />
bocca, debordavano sui lenzuoli; Rosario li seguiva inclinando<br />
la testa di qua e di là, piegava il busto e fletteva le<br />
gambe per inseguire carrozze cieli e abbecedari lungo i legni<br />
delle spalliere, per pedinarli sino ai lobi delle orecchie<br />
ed afferrarne le codine quando sgusciavano via sotto i cuscini.<br />
Nicola restava immobile e pietrificato davanti all’incanto,<br />
muoveva un dito a mezz’aria appena, osservava di<br />
lontano.<br />
Tutto era nato un giorno, una vigilia di Natale. I ragazzi<br />
vagabondavano per l’edificio a casaccio. Le cucine sembravano<br />
deserte e le pentole in pace. Rosario aveva raccolto<br />
una manciata di castagne da una ciotola accanto al<br />
fuoco che moriva, e nel ritrarre la mano s’era accorto delle<br />
gambe di suor Pia nascosta dal muro di biancheria stesa<br />
ad asciugare. La donna giaceva addormentata sul gradino<br />
della cisterna con le varici al cielo. Nella sua mano<br />
destra privata di due dita stazionava in miracoloso equilibrio<br />
l’attizzatoio. I ragazzi avevano infilato la testa tra le<br />
mutande e la stavano osservando stupiti quando videro il<br />
sogno lacerare la pelle della religiosa e sgorgare dalla sorgente<br />
tra gli occhi, lo videro ruscellare via senza fremiti<br />
ma con l’energia buona del fenomeno di natura. Il sogno<br />
aggirò le secche delle sopracciglia, doppiò le palpebre, si<br />
dilatò e defluì nelle anse della guancia, l’onda sbatté sul<br />
labbro e precipitò in rivoli di schiuma sul collarino. Clamore<br />
di ferri risalì dalle profondità del sonno, udirono<br />
voci di cani e melograni, echi da officina, rumori di vento,<br />
porte che sbattono, risate e scalpiccii, udirono il sibilo<br />
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