Creaturine - Sardegna Cultura
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della sua fanciullezza, dei suoi anni migliori, del treno nella<br />
sua vita e in quella del marito così burbero all’aspetto<br />
ma così dolce e tenero a volte da sorprenderti, di come si<br />
era arrivati là e del pomeriggio in cui il suo sposo l’aveva<br />
dichiarata indispensabile, quel pomeriggio così fortunato<br />
in cui ogni cosa era finita come d’incanto al posto giusto e<br />
il cielo si era colorato di perfezione e poi ancora della perdita<br />
e della stanza nella quale s’era rinchiusa originando il<br />
grosso insetto agile e aggressivo padrone dei suoi pensieri<br />
che le teneva compagnia dentro il letto. Parlava accarezzando<br />
l’arma e con gli occhi bassi e i piedi nudi in movimento<br />
a spostare di qua e di là filini di fieno e cartacce sino<br />
a crearsi uno spazio vuoto e più ordinato. Parlò delle<br />
fioriture di violaciocca di cui a volte e con sorpresa al risveglio<br />
trovava ricoperto il letto e il pavimento - fiori<br />
ovunque, dentro le scarpe, dentro le tazze e lungo l’orlo<br />
dei bracieri - dei temporali che le invadevano la stanza crivellandole<br />
il corpo di lampi e sbattendola come una foglia<br />
dentro l’armadio allagato da cui lei riusciva vestita degli<br />
abiti dismessi e fradici di quando era ragazza dentro i quali<br />
muoveva i passi di una danza così triste da far torcere le<br />
sedie. Disse della finestra infine, la finestra da cui il suo<br />
bambino bello come un angelo appariva a sera quando<br />
più urgente si faceva in lui il bisogno di coccole per cantarle<br />
la canzone dell’incidente, guarda mammina cosa ha<br />
fatto quel trenino al tuo bambino. Parlò senza più muovere<br />
un nervo, senza più accarezzare, più niente. Per un’ora<br />
parlò, poi furono due e poi ancora oltre, disse di bucati<br />
stesi al sole e di stoviglie da risciacquare e di quanto può<br />
essere bello, sarebbe bello tornare a quel semplice mondo<br />
del fare, ma così non è, non può più essere, e allora cantò,<br />
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prese a cantare quel motivo del trenino e del bambino e<br />
allora risollevò lo sguardo, cantando, lieve, e i suoi occhi<br />
incrociarono quelli di Nicola, cantava senza piangere perché<br />
le lacrime sono di chi ha condutture per portarsele<br />
via, di chi piangendo prepara il terreno alla stagione nuova.<br />
Poi cantò, lieve, e i suoi occhi incrociarono quelli di<br />
Nicola ed il ragazzo la osservava e la ascoltava mentre il<br />
suo tempo scadeva e il suo culo si rinfrescava, il fucile riposava<br />
e la donna cantava. A Nicola ricordò i tempi belli<br />
dell’orfanotrofio quando il cantare nelle cucine invitava<br />
al pranzo e i ragazzi si ammassavano nel refettorio, ricordò<br />
le giornate all’aperto piene di innocenti follie e nel<br />
ricordare e nell’ascoltare più profondamente gli parve di<br />
riconoscere qualcosa di familiare in quel motivo, gli sembrò<br />
di riconoscere in quel motivo lo stesso che cantavano<br />
gli orfanelli nel loro funesto marciare, forse era questa la<br />
melodia di Angelica che tanto lo svenava di languore appoggiato<br />
alla fontanella, era questa, era la storia del bambino<br />
fatto esplodere dal treno, la storia del bambino e del<br />
suo piedino, di quel piedino raccolto come un prataiolo e<br />
custodito con la devozione e i riguardi che solo ai corpi interi<br />
sono riservati. Ecco cos’era quel motivo così triste eppure<br />
tanto dolce e suadente, lo stesso che i pescatori maturati<br />
al sole cantano al pesce preso all’amo che lascia la<br />
famiglia, forse lo stesso che gli canta sua madre sott’acqua<br />
per addormentarlo nelle notti in cui egli sente così tersa e<br />
regolare la risacca delle onde sul guanciale.<br />
La donna cantava ora così piano che egli dovette piegarsi<br />
in avanti per poterla ascoltare perché più non udiva che<br />
un filino di voce e fu quel naturale movimento, quell’assurdo<br />
gesto che lo risvegliò. Guardò di fuori verso le colli-<br />
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