Creaturine - Sardegna Cultura
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Rosario veniva dall’orfanotrofio e sino al giorno in cui<br />
Ademaro Grondona lo avrebbe prelevato per tirarselo<br />
dietro la spedizione geografica non aveva conosciuto altro<br />
che sottane di suora. Sua madre era morta del suo parto.<br />
Se ne era andata ancor prima che lui vedesse filtrare un<br />
bisbiglio di sole da quella feritoia sul mondo. Era discesa<br />
a lui per salutarlo. Avevano giocato piano con piroette e<br />
pinnate, avevano bevuto un po’ della stessa acqua, avevano<br />
cozzato per gioco i crani di pelle tenera e sfilato anelli<br />
di luce dalle dita, poi lui l’aveva vista inabissarsi giù e giù<br />
sino alle più remote lontananze e sulle sabbie di quei fondali<br />
tracciare la scritta del suo nome: Rosario.<br />
Da lì in poi l’orfanotrofio delle Vincenziane era stato la<br />
sua casa. Là era cresciuto e aveva studiato. Il luogo sapeva<br />
di minestra e di alveare, ed egli conosceva il segreto<br />
delle più minuscole stanzette, di celle e pertugi. L’alveare<br />
esplodeva al mezzodì. Macchie di calabroni si addensavano<br />
tra le cucine e il refettorio per il pranzo, vociavano<br />
tra il pentolame, sparavano fragorose risate profumate di<br />
pomodoro e denti marci, riempivano del loro color nero i<br />
mosaici dei pavimenti, si curvavano sulle mense, i loro<br />
volti rigonfi di butteri sembravano venir fuori dai vapori<br />
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