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Creaturine - Sardegna Cultura

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farci caso ed entrarono. Si buttarono sulla branda, fecero<br />

da soli, il maestro era di casa.<br />

L’uomo sfilò gli stivali dai piedi e contrasse gli alluci.<br />

Gli stivali restarono dritti imbambolati, poi ripiegarono<br />

la testa come impiccati. Tre fili di fumo risalirono dai calcagni<br />

del maestro consegnando nelle mani di Rosario il<br />

messaggio rancido del loro sfinimento. Ma il ragazzo non<br />

fiatava, si guardava solo attorno senza pronunciar respiro,<br />

cercando una collocazione per i suoi occhi sciolti. Inviò<br />

in perlustrazione uno sguardo lungo perché indagasse,<br />

lo sguardo partì, si staccò e partì, sorvolò le cornici di<br />

quadri e specchi, sorvolò culle e canterani, si rigirò con<br />

tutto il corpo in aria, rasentò il pelo dei tappeti e incrociò<br />

altri voli diagonali, entrò nei fiori, nella profondità delle<br />

corolle i cui petali disegnavano sull’orlo dei vasetti il loro<br />

alfabeto di colori. Spensierato, lo sguardo se ne andò ancora<br />

su e giù per le pareti, su e giù per i soffitti, esibendo<br />

tutto il suo arsenale da funambolo, sinché il ragazzo lo dimenticò,<br />

lo dimenticò lì, nelle più alte regioni della stanza<br />

impegnato a ostentare ancora acrobazie, lo dimenticò<br />

e se ne andò per la sua strada di pensieri, Rosario prese<br />

un sentiero di more nere come la nostalgia che lo portò a<br />

Nicola e al mare e a quella spiaggia su cui si soffermò nell’attesa<br />

dell’amico, che ancora come allora vedeva scomparire<br />

e riemergere, scomparire e riemergere più volte.<br />

Quando tornò, lo sguardo agonizzava sul frangiacque<br />

della finestra. Il ragazzo si alzò e lo raccolse lì dove esausto<br />

era ricaduto dopo tanto picchiare e picchiare contro i<br />

vetri come un uccello rinchiuso. Aprì la finestra e lo liberò<br />

all’esterno dove i gruccioni lo assalirono del loro<br />

duellare scagliandogli sopra pennellate arancione, stor-<br />

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dendolo del loro giallo vagare, trascinandolo sino alle teste<br />

delle povere asine mortificate di fatica e di sterco che<br />

a monticelli andava accumulandosi dietro le loro zampe.<br />

Il maestro Grondona si alzò e venne verso la porta, a<br />

due passi dal giovane. L’uomo appariva nettamente meno<br />

prestante giù dagli stivali. Restò lì sull’uscio a fissare l’aia,<br />

a due passi di lato dal ragazzo. Un’asina immerse il muso<br />

nell’acqua della vasca mentre il cielo sgocciolava la sua luce<br />

sul basto. Bande di oche gridavano pista sfrecciando<br />

via, farfalle a grappoli facevano festa all’acqua e allo sterco,<br />

cavalli in controluce si addentravano nelle stanze più<br />

scure dell’oliveto. Ademaro fissava l’aia muto. Rosario<br />

fissava la parete esterna del suo sguardo posato sulla pancia<br />

di raso di un maiale. Il ragazzo grondava sudore, infilò<br />

una mano nella giubba e ne estrasse uno straccio con cui si<br />

asciugò la fronte, i pensieri gli cadevano di tasca squittendo:<br />

si vergognò dell’intimità infranta del maestro, di quel<br />

suo avergli intercettato il sogno. Lo pensò lì, davanti allo<br />

spettacolo dell’aia, dove tutti cantavano buongiorno e come<br />

stai, tutti vagabondavano, tutti sapevano che non sarebbe<br />

successo niente, tutti sembravano essersi alleati con<br />

lui sovrapponendo i muggiti ai grugniti e ai belati in una<br />

gigantesca musica animale per sovrastare lo squittire di<br />

quell’unico pensiero duro a morire. Una biscia nell’acqua<br />

della vasca si attorcigliò al muso dell’asina, Ademaro<br />

Grondona sollevò il mento ed aggrottò la fronte, socchiuse<br />

un occhio; poi, d’accordo col ragazzo - quasi fossero<br />

d’accordo - incrociarono gli sguardi, voltarono i capi ed<br />

incrociarono gli sguardi ed erano occhi importanti quelli,<br />

perché avevano scelto l’unica traiettoria possibile per incontrarsi<br />

tra le mille e mille che vi erano tracciate nell’aria.<br />

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