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1 Napoli città nobilissima, antica e fedelissima, esposta agli occhi et ...

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mammelle, col motto “Dum Vesuvii Syren incendia mulc<strong>et</strong>”, fatta nel tempo dell’incendio 161 del Vesuvio<br />

nell’anno 1139, riabellita da don Pi<strong>et</strong>ro di Toledo e postivi l’armi sue. In due vicoli si vedono due picciole<br />

chiese: una d<strong>et</strong>ta Santa Maria della Mon<strong>et</strong>a, della comunità della Zecca; l’altra presso un sopportico ch’esce<br />

alla Porta Nuova, d<strong>et</strong>ta Santa Maria dell’Arco.<br />

Or, ritornando a San Marcellino, fu questo monistero fondato da Antimo, doce e console della<br />

Republica <strong>Napoli</strong>tana, o pure da Teodanna, sua 162 moglie, ristorato, havendo più antichi principii, come lo<br />

ristorò Federico Enobarbo, o Barbarossa, dandoli il suo ammanto regale, che anche ridotto in palliotto si<br />

conserva; è rifatto il monistero a questi tempi col disegno di Pi<strong>et</strong>ro d’Apuzzo; fu questa chiesa unita con quella<br />

di San Donato e con quella di San Festo; monistero edificato da Steffano, console e doce di <strong>Napoli</strong>, confirmato<br />

dall’autorità del beato Pio V. Dalla parte d’oriente v’era l’<strong>antica</strong> sinagoga degli ebrei, che, distrutta,<br />

s’in[211]corporò col monistero. La chiesa è molto galante; il soffitto, posto in oro, è dipinto dal Massimo; la<br />

cupola ed angeli dipinti a fresco da Belisario; alcuni quadri della chiesa vecchia sono di Pi<strong>et</strong>ro Donzelli; il capo<br />

altare, di finissimi marmi, ha una tavola del Lama. Vi è di sopra una miracolosa imagine del Salvatore,<br />

ch’inviata dal’imperatore Basilio all’Arcivescovo di <strong>Napoli</strong>, posata da’ facchini stanchi sopra una colonna di<br />

marmo, questa si ruppe, né si poté più con forza umana di là più sollevare, ma due novizie con facilità grande la<br />

presero e portarono nel monistero, collocandola san Marcellino su l’altare; si conserva con gran venerazione,<br />

vedendosi la colonna rotta situata, con una cancellata di ferro, in una nicchia; il quadro di San Bened<strong>et</strong>to, di cui<br />

osservano le regole, è del Ribera; le reliquie sono: un braccio di san Donato, che era di quella chiesa; un dito di<br />

san Bened<strong>et</strong>to, ed altre. Il monistero è grande, con belle vedute di mare; dicon che qui vi fussero le mur<strong>agli</strong>e<br />

della <strong>città</strong>, con una campana che faceva segno quando s’accostavano i turchi al lido, e fusa nel 550, [212] che si<br />

conserva nel monistero; or, se nel 550 vi fussero campane e turchi, come dicono che nella campana si legge,<br />

lascio considerarlo al giudizioso l<strong>et</strong>tore. Vuole il Celano che sia fondato il monistero nel 763, regnando<br />

Costantino e Leone Porfirogenito, per un privilegio che si conserva nell’archivio delle monache, dove vi sono<br />

molte scritture in pergameno.<br />

Vicino èvvi il gran convento di San Severino, fondato, secondo Beda, da’ napolitani sopra il palazzo di<br />

san Severino – alcuni vogliono da Constantino il Grande –, a cui questo nome è stato dato, doppo molti nomi:<br />

di Santa Maria del Primo Cielo, di San Basilio, di San Bened<strong>et</strong>to; dato in fine a’ monaci cassinesi. Nella <strong>antica</strong><br />

chiesa vi furono sepelliti i corpi de’ santi Severino e Sosio, il primo qua trasportato dall’Isola del Salvatore o<br />

Castel dell’Ovo, il secondo dalla distrutta <strong>città</strong> di Miseno, de’ quali tiene ora il nome. Essendo la chiesa <strong>antica</strong><br />

picciola, si edificò la grande col disegno del Mormando; la sua cupola fu la prima edificata in <strong>Napoli</strong>, col<br />

disegno di Sigismondo di Giovanni, e dipinta da [213] Paolo Schif o Schefar fiamengo; la dipintura a fresco<br />

161 Editio princeps: incedio.<br />

162 Editio princeps: sna.<br />

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