Documento PDF - UniCA Eprints - Università degli studi di Cagliari.
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l'archeologia e si sviluppò una vera e propria dottrina del “bello<br />
ideale”; ma gli architetti neoclassici ridussero la loro osservazione<br />
verso l'antico alla tristezza dell'imitazione e l'originalità fu<br />
pressapoco assente. Il <strong>di</strong>segno architettonico risentì <strong>di</strong> queste<br />
dottrine artistiche poco aperte alla fantasia e agli apporti personali<br />
e il suo linguaggio si conformizzò in quello tipico e meto<strong>di</strong>co delle<br />
accademie, realizzato principalmente in proiezione ortogonale e<br />
con la tecnica del chiaroscuro. Nell'architettura neoclassica il<br />
<strong>di</strong>segno si rivela non più <strong>di</strong> un'applicazione teorica: principalmente<br />
era eseguito a penna con le ombre ad acquerello, uniformandosi<br />
al punto <strong>di</strong> apparire simile per tutti gli autori 114 (figura 36).<br />
Nell'esercizio progettuale si <strong>di</strong>ffonde la pratica <strong>di</strong> delegare la parte<br />
grafica del lavoro a <strong>di</strong>segnatori che non sono necessariamente<br />
<strong>degli</strong> architetti, ma sono preparati a dovere a tale scopo, e si<br />
esprimono spesso in abbellimenti <strong>di</strong> carattere decorativo, anche<br />
sulle notazioni accessorie del <strong>di</strong>segno come il cartiglio e la scala<br />
metrica 115 .<br />
Etienne Louis Boullée ci ricorda però che l'architettura non deve<br />
essere soltanto l'applicazione <strong>di</strong> principi e regole fisse, ma essa<br />
deve evocare la natura con la quale è in stretto contatto. In<br />
quest'ottica il rigore delle proiezioni ortogonali riacquista<br />
espressività attraverso il ricorso alla luce e all'ombra e<br />
all'inserimento dell'ambiente circostante quale paesaggio ideale<br />
all'interno del quale realizzare l'utopia architettonica. E così nei<br />
<strong>di</strong>segni dei cosiddetti architetti rivoluzionari del Settecento<br />
(Boullèe, Ledoux e Lequeu) compaiono segni espressivi che<br />
vanno oltre il rigore della semplice rappresentazione ortogonale 116 .<br />
Architetti come Boullee e Ledoux si allontanano dalla<br />
rappresentazione prospettica e scenografica dello spazio perché<br />
vedono l'architettura come definizione <strong>di</strong> oggetti e<strong>di</strong>lizi. Non<br />
progettano più quin<strong>di</strong> solo per piante e sezioni ma per entità<br />
volumetriche, per soli<strong>di</strong> geometrici in cui in<strong>di</strong>viduano la sintesi <strong>di</strong><br />
idea e cosa 117 .<br />
Per questa volontà <strong>di</strong> ricerca spaziale e volumetrica è esaltato<br />
l'uso <strong>degli</strong> effetti <strong>di</strong> chiaroscuro e delle ombre. Alla fine del<br />
Settecento il proce<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> costruzione per punti delle linee<br />
separatrici d'ombra, propria o portata, è ormai totalmente acquisito<br />
ed utilizzato correntemente 118 (figure 38, 39, 40 e 41).<br />
Si può asserire che nell'Ottocento entri in crisi il sistema<br />
prospettico: la rappresentazione più consona alla pretesa<br />
oggettività delle forme sarà la proiezione parallela (prospettoassonometria)<br />
e da più fronti partiranno le critiche alla eccessiva<br />
soggettività della “perspectiva artificialis” 119 .<br />
Il paradosso del <strong>di</strong>segno nell'epoca dei lumi sta in effetti nella<br />
<strong>di</strong>vergenza tra prassi comune, e cioè quella <strong>di</strong> usare<br />
prevalentemente la proiezione ortogonale per la rappresentazione<br />
del progetto, e fervida ricerca intellettuale sul campo geometrico e<br />
matematico, nello <strong>stu<strong>di</strong></strong>o delle leggi prospettiche, delle tematiche<br />
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