Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro - Formez
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diverse ondate di ristrutturazioni e di esuberi. Sulla scena <strong>del</strong> <strong>del</strong>itto, il nuovo<br />
imputato - la de-localizzazione da globalizzazione - sembra una new entry<br />
piuttosto che il colpevole.<br />
3. DE-LOCALIZZAZIONE O NEO-INTERNAZIONALIZZAZIONE?<br />
In definitiva, può la de-localizzazione essere un colpevole? La parola<br />
stessa richiede qualche precisazione, visto che per misurare l’impatto <strong>del</strong>la <strong>del</strong>ocalizzazione<br />
bisogna chiarire bene quale fenomeno esso sia. Il termine<br />
suggerisce semanticamente un trasferimento che implica lo sradicamento da<br />
un luogo e l'insediamento in un altro. Ma nell’odierno scenario di divisione<br />
internazionale <strong>del</strong> lavoro l’iniziativa <strong>del</strong>le imprese risponde ben di rado a<br />
questa fattispecie semplicistica: siamo semmai in presenza di complessi<br />
movimenti di internazionalizzazione tesi a conseguire il miglior posizionamento<br />
strategico sui diversi mercati (soprattutto su quelli più promettenti), sia per<br />
l’approvvigionamento (di materie prime e semilavorati ma anche di conoscenze<br />
e idee), sia per la vendita <strong>del</strong> bene o <strong>del</strong> servizio.<br />
L’internazionalizzazione assume di fatto diverse forme, che implicano<br />
anche un diverso livello di complessità e di impegno per l’impresa. Esso può<br />
consistere nella semplice presenza per vendere i propri prodotti su mercati<br />
diversi (in genere ciò avviene nello stadio iniziale), mediante la costruzione di<br />
specifiche reti di sub-fornitura (che possono sostituire precedenti reti<br />
domestiche) e il ricorso al traffico di perfezionamento passivo, vale a dire la<br />
reimportazione di prodotti per i quali sono state svolte all’estero alcune fasi di<br />
lavorazione; può consistere nella stipula di alleanze con produttori esteri per<br />
condividere rischi e opportunità d’investimento; e può consistere nella<br />
costruzione di nuovi stabilimenti produttivi cui affidare la realizzazione di<br />
specifici prodotti o di parti dei medesimi 230 .<br />
Le motivazioni <strong>del</strong>l’internazionalizzazione non sono riconducibili soltanto<br />
alla ricerca dei vantaggi connessi al minor costo <strong>del</strong> lavoro: contano anche la<br />
necessità di presidiare nuovi mercati, la ricerca di aree di espansione,<br />
l’esigenza di emulare i concorrenti 231 , la pianificazione fiscale per catturare i<br />
vantaggi assicurati da una più bassa tassazione 232 e/o dalle pratiche di transfer<br />
pricing. Così intesa, l’internazionalizzazione è un passaggio obbligatorio per<br />
tutte le imprese che puntano a crescere e il cui bene o servizio non sia per<br />
qualche ragione obiettiva legato esclusivamente al mercato domestico.<br />
Ma qual è l’impatto occupazionale di questo movimento di<br />
internazionalizzazione? E’ inutile nascondere che alcune chiusure di produzione<br />
con il contemporaneo avvio <strong>del</strong>la medesima produzione in altri Paesi (Europa<br />
<strong>del</strong>l’Est e più raramente Estremo Oriente), hanno alimentato la visione più<br />
230<br />
La gamma <strong>del</strong>le modalità di internazionalizzazione è assai articolata poiché va da quelle di natura<br />
equity tipo partecipazioni azionarie, incroci, joint venture, a quelle non equity, tipo i tanti accordi<br />
possibili per allargare la penetrazione all’estero.<br />
231<br />
Nel 2002 il gruppo Benetton realizzava in Italia l’80% <strong>del</strong>la produzione, mentre oggi prevede di<br />
scendere al 20% nel 2007: C. Gianelle, La de-localizzazione produttiva nell’industria veneta <strong>del</strong>l’abbigliamento<br />
e <strong>del</strong>le calzature. Un’analisi empirica su alcune imprese, tesi di laurea, Università Ca’<br />
Foscari di Venezia, anno accademico 2003-2004.<br />
232<br />
L’aliquota fiscale sui redditi societari è attorno al 35% in tutti i principali Paesi europei ma scende al<br />
15% in Lettonia e Lituania, al 12,5% in Irlanda, al 10% a Cipro: D. Stevanato, Fisco e <strong>del</strong>ocalizzazione,<br />
"Economia e società regionale", n. 87, 2004.<br />
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