Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro - Formez
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noto, e cioè che il mercato <strong>del</strong> lavoro italiano è caratterizzato da una<br />
apprezzabile mobilità sebbene il maggior numero di casi si situi sulla diagonale<br />
principale (contrassegnata dal carattere corsivo). In un quadro tutto sommato<br />
abbastanza stabile, emergono dinamiche significative e non sempre al<br />
margine, tant'è vero che nel triennio quasi 5 milioni di lavoratori hanno<br />
cambiato posizione restando nel mercato <strong>del</strong> lavoro.<br />
I più stabili sono ovviamente i dipendenti con contratto a tempo<br />
indeterminato, ma lo sono anche gli indipendenti (o lavoratori autonomi): fra il<br />
1998 e il 2001, l'85% dei primi e l'81% dei secondi è rimasto nella stessa<br />
condizione, anche se non necessariamente nello stesso posto; percentuali<br />
simili si trovano soltanto fra i pensionati e le casalinghe.<br />
Dei pochi dipendenti stabili che cambiano tipo di rapporto, il 4,7% va in<br />
pensione e il 2,9% passa al lavoro autonomo. Dietro quest'ultima scelta,<br />
effettuata soprattutto da uomini tra i 25 e 39 anni, ci può essere sia il desiderio<br />
di “mettersi in proprio”, magari portandosi appresso l'attività svolta in<br />
precedenza, sia l'esigenza di intraprendere una nuova attività in seguito a<br />
licenziamento o dimissioni.<br />
Una quota piccola ma non irrilevante di lavoratori stabili (il 4,8%) cambia<br />
in peggio, generalmente perché ha perso il posto e ha trovato soltanto un<br />
impiego più precario. Si tratta di una situazione di discesa poiché la condizione<br />
<strong>del</strong> 2001 è più svantaggiata di quella <strong>del</strong> 1998: per meno di metà consiste<br />
infatti in un contratto a tempo determinato, e per il resto in un lavoro al nero o<br />
nella disoccupazione, caso frequente specie fra i giovanissimi <strong>del</strong> Sud poco<br />
istruiti.<br />
Per quasi la metà dei dipendenti con contratto a tempo determinato si può<br />
invece parlare di situazioni di ascesa, poiché a tre anni di distanza il loro<br />
rapporto di lavoro è stato stabilizzato con il contratto a tempo indeterminato:<br />
si tratta soprattutto di giovani tra i 25 e i 39 anni, con diploma o laurea,<br />
residenti nel Centro-Nord. Tuttavia, un quarto dei lavoratori con contratti a<br />
tempo determinato resta nello stesso tipo di rapporto. Negli altri casi, a fronte<br />
di un 8,6% di lavoratori che escono dal mercato, si tratta di situazioni di<br />
discesa poiché la condizione di precarietà si aggrava: l'8,2% è disoccupato<br />
(caso più frequente tra le donne e nel Mezzogiorno), il 4,5% lavora in nero e il<br />
3,8% si trova nel lavoro autonomo (ad esempio come collaboratore o con<br />
partita Iva).<br />
I pochissimi che nel 1998 avevano un contratto di formazione o di<br />
apprendistato (0,7%) mostrano un tragitto molto simile a chi aveva un<br />
contratto a termine: il 45% è in ascesa perché dopo tre anni è stato assunto<br />
come dipendente con regolare contratto, a tempo indeterminato o<br />
determinato. Soltanto il 16,3% rimane nella stessa condizione (per le<br />
limitazioni temporali che regolano queste forme contrattuali); il 10,5% è<br />
disoccupato; il 9,3% non ha un contratto di lavoro; l'8,1% ha optato per un<br />
lavoro autonomo o di collaborazione. (Queste quote vanno però valutate con<br />
cautela, data la scarsa numerosità campionaria <strong>del</strong> gruppo).<br />
I lavoratori autonomi, la cui stabilità eguaglia quelli a tempo<br />
indeterminato, nell'81% dei casi rimangono nella stessa condizione (che è più<br />
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