Una parola tira l'altra - AM Cirese
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Numero e funzione dei proverbi nei Malavoglia<br />
1976a12<br />
Quando nel 1954 contai i proverbi dei Malavoglia (trovandone “attorno a 150”, ivi<br />
comprese però le occorrenze multiple di uno stesso proverbio), ignoravo che la fatica<br />
era stata già fatta, quasi trent'anni prima, da Luigi Sorrento, che ne aveva trovati 101<br />
(1926, pp. 352-56).<br />
Il lavoro di Sorrento è stato poi ricontrollato nel 1967 da S. Pappalardo che ha trovato<br />
136 tra proverbi e (pochi) modi di dire, e li ha messi a riscontro con quelli registrati<br />
da Rapisarda, Pitrè ecc.: se si tiene conto delle “ripetizioni” che accuratamente<br />
Pappalardo segnala, e se vi si aggiungono quelle poche che gli sono sfuggite e che<br />
invece risultano dalle mie superstiti schede, si arriva ai 150 circa. Con la cifra di<br />
Sorrento coincide (o ad essa si rifà ) quella indicata da Aldo Rossi (1972) che la fissa<br />
appunto a “circa 120” , ma con ripetizioni di 19, e che “al limite” sostiene “che il<br />
romanzo è costituito da un collage di materiale preesistente”.<br />
Quest'ultima osservazione mi porta a notare anche qui (come già in un dibattito sui<br />
proverbi svoltosi nel 1973 al Circolo linguistico fiorentino) che giova alla chiarezza il<br />
registrare la differenza che esiste tra una ricerca che si occupi dei proverbi o dei<br />
soprannomi come modelli stilistico-ideologici del modo narrativo dei Malavoglia, ed<br />
una che si occupi invece della utilizzazione-inserzione che Verga ne fece in quanto<br />
elementi preesistenti al romanzo.<br />
Personalmente ho privilegiato il primo tipo di ricerca. Nel<strong>l'altra</strong> direzione mi pare si<br />
sia invece mosso e mantenuto Luigi Russo (1941) quando ha esaminato il desiderio<br />
verghiano “di rincalzare la rappresentazione con motti derivati dalla sapienza<br />
popolare” (p. 385) ed in polemica con i critici che avevano giudicata sovrabbondante<br />
l'operazione di inserzione dei proverbi nei Malavoglia (pp.388-89) ha sostenuto che<br />
Verga li adopera “come temi di diversa poesia, ora per salmeggiare religiosamente...,<br />
ora per ironizzare..., ora a esprimere l'ottusa indifferenza...”, ed ha scritto che “quel<br />
coro di proverbi si corrisponde da una pagina al<strong>l'altra</strong>, come fossero voci di accordi e<br />
di assonanze lontane” (p. 390)' né mi pare che dall'interesse per l'utilizzazioneinserzione<br />
dei proverbi Russo si distacchi neppure quando dice che “il tema lirico di<br />
ogni proverbio” e di Verga, “anche se il singolo proverbio e facile riportarlo a<br />
qualche schema originario della parlata provinciale”, o quando dichiara che dalle<br />
raccolte di proverbi consultate Verga “trasse soltanto una vaga e generica<br />
ispirazione” (p. 391).<br />
E' appena il caso di aggiungere che la differenza tra la considerazione dei proverbi o<br />
dei soprannomi come modelli e l'attenzione alla loro utilizzazione-inserzione non<br />
significa necessariamente superiorità o incompatibilità tra i due indirizzi di ricerca.<br />
Mi pare però che la compatibilità cessi, ove alla differenza indicata si accompagni<br />
quella che intercorre tra chi pensa ai moti lirici interni di Verga e chi considera lo<br />
sforzo conoscitivo che lo scrittore compiva. E mi pare anche che si dovrebbe<br />
francamente parlare di superiorità e inferiorità di strumenti e di cognizioni, ove si<br />
continuasse a trascurare il concetto così efficacemente formulato da Giovanni<br />
Nencioni nel ricordato dibattito fiorentino, e cioè che i proverbi appartengono sì alla<br />
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