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Una parola tira l'altra - AM Cirese

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I PROVERBI DI PREFERENZA 163<br />

In effetti il parlante si pone come "relatante", come "citans", per mezzo di una<br />

operazione - linguisticamente manifesta, o in ogni caso pertinente ai fatti linguistici -<br />

che consiste:<br />

a) nell'affermare che una terza persona (un altro parlante qualsiasi, un quidam) ha<br />

compiuto l'operazione (linguistica) di pronunciare una <strong>parola</strong>, una frase, un discorso,<br />

una sentenza ecc.<br />

b) nel ripetere testualmente (oppure nel presentare come testualmente ripetuti), ed in<br />

oratio recta, la <strong>parola</strong>, la frase, e insomma il dictum di questa terza persona. Più oltre<br />

si vedrà che possono esserci anche altri elementi; ma per il momento possiamo<br />

accontentarci di quelli strettamente indispensabili.<br />

Impiegando un procedimento di simbolizzazione piuttosto rudimentale, il tipo di<br />

rapporto che il wellerismo stabilisce tra il parlante e il dictum di cui egli si fa<br />

"relatante" potrebbe rappresentarsi come segue:<br />

L: « q: “d” »<br />

in cui L è il locutore o parlante, i due punti : rappresentano l'operazione "dire", q<br />

è il quidam che ha pronunciato la <strong>parola</strong> o il detto d, le virgolette ‘inglesi’ « »<br />

delimitano l'enunciato di L, e le virgolette ‘semplici’ “ ” segnalano che il dictum è<br />

ripetuto in oratio recta.<br />

Mi rendo perfettamente conto che la formula rappresenta piuttosto la citazione nella<br />

sua generalità che non la specificità del wellerismo. Occorrerebbe insomma precisare<br />

la differentia specifica del wellerismo all'interno del genus citazione. Per farlo si<br />

dovrebbero certo utilizzare talune qualità più superficiali che in genere sono state già<br />

notate: natura spesso (ma non sempre) "immaginaria” del personaggio q di cui si<br />

ripete il detto d; carattere di "detto stereotipato" di d, che di frequente, però, o non è<br />

un detto o non è stereotipato; carattere "ironico” (ma anche “solenne" e simili) della<br />

citazione "welleristica”, ecc. Ma non si potrebbe trascurare un esame più<br />

approfondito, rivolto soprattutto ai rapporti interni ed a quelli “situazionali" dei testi<br />

correntemente classificati (o percepiti) come wellerismi. Occorrerebbe precisare (più<br />

linguisticamente che psicologicamente) l'atteggiamento del locutore nei confronti<br />

dell'enunciato di cui si fa esplicitamente “relatante", invece di enunciarlo<br />

direttamente. Bisognerebbe perciò esaminare - ciascuno per sé e nella rete delle loro<br />

interazioni - i rapporti tra il locutore e la sua "situazione" socio-contestuale (rapporti<br />

già segnalati, ad es., dalla definizione di G. Pettenati più sopra riferita); i rapporti tra<br />

"il locutore nella sua situazione” e il destinatario (anche lui "in situazione"); i rapporti<br />

tra “locutore/destinatario/situazione” (elemento per elemento e complessivamente) e<br />

il "quidam", locutore-personaggio, il quale ultimo è in rapporto con il suo dictum,<br />

ecc. Insomma occorrerebbe analizzare il wellerismo nella totalità delle sue<br />

caratteristiche e dei suoi rapporti, in quanto fatto linguistico e di comunicazione che è<br />

sempre funzione della situazione socio-contestuale. Ma è del tutto evidente che le<br />

totalità si affrontano solo a condizione di dividerle e suddividerle (sempre che,<br />

naturalmente, un tale frazionamento sia consapevole di sé e della totalità su cui opera<br />

ed alla quale intende tornare).

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