Una parola tira l'altra - AM Cirese
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corrente e pertanto divengono ricordevoli in una loro forma fissa o addirittura<br />
stereotipa. Se si accoglie questa definizione (ed a maggior ragione se ne accolgono<br />
altre più specifiche), risulta evidente che il proverbio viene innanzi tutto assegnato<br />
alla categoria dei fatti linguistici, e cioè a quel tipo di comunicazioni o messaggi che<br />
hanno come loro supporto o veicolo il linguaggio articolato (tanto per intenderci:<br />
parole, e non gesti o figure ecc.); inoltre esso viene assegnato a quella specifica<br />
categoria di fatti linguistici che si discosta dal parlare quotidiano e dalle espressioni<br />
non ricordevoli (ancora una volta per intenderci: la categoria dei Veni, vidi, vici,<br />
oppure "cosa fatta capo ha", oppure "eppur si muove" ecc., e non la categoria di<br />
"dammi il pane, per favore", "hai visto che piove?", "domani vado a Roma" ecc.).<br />
Poiché la prima qualificazione distacca il proverbio da tutte le cose che non<br />
sono né detti né motti e lo assegna alla categoria generale dei detti e dei motti, le<br />
ulteriori qualificazioni hanno ovviamente la funzione di distinguere le peculiarità del<br />
proverbio rispetto a tutti gli altri detti o motti. Noteremo qui in generale che alcune di<br />
queste ulteriori qualificazioni sono già implicite nella qualità di detto o di motto (p.<br />
es. la brevità: quando si parla di detti o di motti non si pensa in genere ad espressioni<br />
"lunghe"), per cui esse risultano ridondanti se non addirittura superflue. Ma più<br />
importante è il fatto che tali qualificazioni appartengono a ordini che nel loro<br />
complesso sono diversi dalla prima e che inoltre sono anche diversi tra loro.<br />
Consideriamo infatti la brevità. A parte l'accennata ridondanza, la brevità è una<br />
connotazione di ordine che ben possiamo dire quantitativo: indica la (breve) durata<br />
nel tempo del messaggio, o il (piccolo) numero delle unità (parole) che lo<br />
costituiscono. Ma, come è ovvio, la brevità (o la lunghezza ecc.) possono predicarsi<br />
di molte altre cose oltre i messaggi linguistici: pur lasciando da parte strade, viaggi e<br />
milioni di altri fatti che non appartengono all'ordine della comunicazione, si possono<br />
dire brevi (o lunghi) anche fatti comunicativi non linguistici (un fischio di<br />
ammirazione o di disapprovazione, un applauso ecc.). Da questo punto di vista la<br />
brevità (o la lunghezza) non sono qualità peculiari dei messaggi: sono qualità di tutte<br />
le cose misurabili in base alla loro durata. Da sola, dunque, la brevità non risulterebbe<br />
significativa o qualificante: anche "domani parto" è un messaggio breve, ma non<br />
perciò diventa un proverbio. Perché si parli di proverbio occorre che la brevità sia<br />
strettamente unita al carattere ricordevole e fisso dell'espressione, di cui si è già detto,<br />
e ad altre caratteristiche più intrinseche del testo in quanto tale di cui dobbiamo ora<br />
occuparci. La brevità infatti, pur se in qualche modo influenzante le modalità formali<br />
e contenutistiche del testo, non dice molto (da sola) su tali modalità.<br />
Assai più specifiche appaiono quindi le qualifiche di "arguzia", di "forma<br />
stringata e incisiva", di "parlar figurato, di contenuto ammaestrativo (riflessivo o<br />
normativo che esso sia), di legame con il "vivere umano", di derivazione<br />
dall'esperienza. Ma per quanto si riferiscano tutte alle modalità contenutistico-formali<br />
del testo, neppure tali qualità stanno tutte su un identico piano. Arguzia, forma<br />
stringata e incisiva, andamento metaforico sono caratteristiche che forse è inesatto<br />
dire "formali", ma che in ogni caso sono in certa misura indipendenti dal carattere<br />
ammaestrativo, dal legame con l'esperienza, dalla connessione con il vivere umano.<br />
Si può essere stringati e incisivi anche senza tendere ad ammaestrare, e si può<br />
assumere andamento metaforico anche senza desumere alcunché dall'esperienza ed<br />
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