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Il Giardino si riproduce - Studio Staff RU

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75<br />

Capitolo 2 1971-1980<br />

Testimonianza di Bartolo Costanzo<br />

Dirige un Centro di Ricerca impegnato in Progetti di Innovazione dell’Agricoltura<br />

Ho conosciuto alla fine degli anni settanta gli uomini che hanno fatto la storia<br />

dello <strong>Studio</strong> <strong>Staff</strong>: Silvano Del Lungo, Dario Salerni, Emanuele Di Castro, Beppe Carelli<br />

ed altri. Ero allora molto giovane e del tutto ignaro dell’Impresa e dei suoi problemi co<strong>si</strong><br />

come dei contenuti e contorni della profes<strong>si</strong>one che avrei poi svolto per larga parte della<br />

mia carriera, occupandomi di organizzazione e risorse umane, in contesti molto comples<strong>si</strong>,<br />

o dovrei dire complicati.<br />

Mi fu detto poi che ciò fu, tra le altre cose, una delle ragioni per le quali fui scelto,<br />

in<strong>si</strong>eme a pochis<strong>si</strong>mi altri, per una esperienza formativa lunga e impegnativa, organizzata e<br />

gestita dallo <strong>Studio</strong> <strong>Staff</strong>, variegata ed eclettica, assai innovativa per quell’epoca, che in<br />

fondo conserverebbe freschezza, modernità ed originalità anche oggi, se fosse ripetuta così<br />

come era, salvo i necessari aggiornamenti.<br />

Ero laureato in Filosofia, con qualche esperienza ai primi gradini del lavoro<br />

univer<strong>si</strong>tario. Un intellettualino, magari fine, <strong>si</strong>curamente abituato alla rifles<strong>si</strong>one<br />

“difficile”, ma un po’ saccente.<br />

Penso che quell’incontro non sarebbe stato per me così fecondo e deci<strong>si</strong>vo, tale da<br />

imprimere alla mia vita un cambiamento definitivo, se non aves<strong>si</strong> trovato in quegli uomini e<br />

in quel modello profes<strong>si</strong>onale di consulenza, spessore culturale, rigore logico, ma anche<br />

amore per le cose nuove ed incerte.<br />

Ero anch’io con i miei pen<strong>si</strong>eri e le mie categorie, nell’ultimo scorcio degli anni<br />

settanta, come lo erano allora tante realtà, nella politica, nel lavoro, nella cultura, alla fine<br />

di una epoca. Quella particolare e specialis<strong>si</strong>ma esperienza di apprendimento, pensata, tra<br />

l’altro come un vero e proprio master re<strong>si</strong>denziale, ebbe quindi per me il sapore di<br />

un’“apertura”. Molto correlato con il contesto generale di grande cambiamento e instabilità,<br />

starei per dire di cri<strong>si</strong> era, infatti, l’approccio laico, eclettico e multidisciplinare,<br />

policentrico, mai scontato, tutto da perfezionare in fieri.<br />

Mediante tale vi<strong>si</strong>one accanto alle tematiche dell’organizzazione e delle risorse<br />

umane <strong>si</strong> studiavano: economia di impresa, materiali e proces<strong>si</strong> tecnologici di produzione,<br />

informatica ed informatizzazione, per<strong>si</strong>no statistica.<br />

Probabilmente voleva essere, più che una scuola di management, come la <strong>si</strong><br />

farebbe oggi, una sorta di laboratorio di Impresa, in sedice<strong>si</strong>mo. Nel quale <strong>si</strong> mettevano<br />

in<strong>si</strong>eme pezzi provenienti da culture e modelli diver<strong>si</strong> per tentare una mappa concettuale<br />

un po’ reticolare, piuttosto che circoscrivere in se stesso il problema del management .<br />

Molti modi di vedere un’organizzazione complessa, da molti punti di<br />

osservazione.<br />

Si facevano, ricordo, pochi cedimenti alle ver<strong>si</strong>oni monomaniacali del<br />

management, pochi cedimenti all’aziendalismo, alle tecniche di moda, agli standard da<br />

cunsulting di massa. Tanto che qualche volta ci sentivamo, noi ragazzi, un tantino spaesati<br />

circa il nostro ruolo futuro nelle aziende.<br />

Era un approccio modernis<strong>si</strong>mo, invece, guardato con il senno di poi , dopo tanta<br />

acqua passata sotto i ponti. Per<strong>si</strong>no di grande attualità.<br />

Per quello che mi riguarda una specie di antidoto, in nuce, forse, a quella che Celli<br />

definisce “l’illu<strong>si</strong>one manageriale”. Ho incontrato e talvolta maneggiato, nel corso della<br />

mia carriera decine di ideologie gestionali e modelli di leadership, decine di metodi e<br />

tecniche di innovazione e sviluppo, mode e forme con il loro carico, nel bene nel male, di<br />

miti e tabù. Ho provato a tratti l’entu<strong>si</strong>asmo del neofita o la meditata ade<strong>si</strong>one

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