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Il Giardino si riproduce - Studio Staff RU

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81<br />

Capitolo 2 1971-1980<br />

definito come un ‘saper interpretare’, un ‘saper valutare’, un ‘saper intervenire’, per gestire<br />

al tempo stesso il contesto dell’azione e lo spazio dei riconoscimenti vicendevoli. In tal<br />

caso l’accento è posto sul rapporto tra soggettività e attività, nell’orientamento da e verso<br />

l’attività altrui (su cui la conoscenza p<strong>si</strong>cologica diffusa in <strong>Studio</strong> <strong>Staff</strong> aveva parecchio da<br />

dire) e nel contempo sulle dinamiche del processo di lavoro, cui ogni soggetto<br />

inevitabilmente contribuisce, mentre proprio da questa costruzione collettiva trae alimento<br />

lo sviluppo delle competenze di ciascuno.<br />

Secondo la mia lettura, il lavoro di <strong>Studio</strong> <strong>Staff</strong> negli anni Settanta non ha<br />

anticipato la moda della ‘valutazione delle competenze’ dei decenni succes<strong>si</strong>vi, ha invece<br />

prospettato una strada alternativa, che le imprese non hanno seguito. Le imprese, stimolate<br />

dalla consulenza internazionale, e anche legittimate dalla maggior parte della ricerca<br />

organizzativa, hanno ampiamente praticato ciò che Giovanni Ma<strong>si</strong>no ha definito la ‘retorica<br />

del post-fordismo’ (nel suo intelligente studio Le imprese oltre il fordismo, Carocci, Roma,<br />

2005, sulla base di ricerche storiche e di una approfondita anali<strong>si</strong> critica della letteratura,<br />

Ma<strong>si</strong>no dimostra che Ford non era ‘fordista’ e che il ‘post-fordismo’ non è affatto postfordista).<br />

<strong>Studio</strong> <strong>Staff</strong>, agli inizi del superamento di alcuni principi del taylorismo, indicava<br />

la percorribilità di una via diversa, mentre la scena era man mano occupata dalle evoluzioni<br />

delle pratiche funzionalistiche, supportate dalle tecniche informatiche, nei <strong>si</strong>stemi di<br />

controllo e di valutazione, nelle scelte di make or buy, nei proces<strong>si</strong> di produzione, nelle<br />

politiche delle risorse umane e nel diritto del lavoro.<br />

L’atteggiamento di <strong>Studio</strong> <strong>Staff</strong>, come conseguenza delle caratteristiche che ho<br />

cercato di interpretare, implicava un rapporto particolare con gli operatori e con i proces<strong>si</strong><br />

di lavoro. Benché <strong>si</strong> trattasse di attività consulenziale, i suoi interventi <strong>si</strong> configuravano più<br />

pros<strong>si</strong>mi alla ricerca che all’applicazione di soluzioni preconfezionate. Ritorniamo quindi<br />

alle problematiche della ‘ricerca-intervento’ da cui avevo preso le mosse. All’inizio degli<br />

anni Settanta sembrava che non <strong>si</strong> potesse far altro che ‘ricerca-intervento’. In realtà <strong>si</strong><br />

trattava di una pluralità di differenti approcci cui veniva applicata la stessa etichetta. Da un<br />

lato l’approccio ‘socio-tecnico’ comportava una presenza determinante del ricercatoreconsulente,<br />

interprete esterno della <strong>si</strong>tuazione di lavoro, indagata secondo canoni<br />

prestabiliti, in coerenza con la soggiacente logica oggettivista e funzionalista. L’enfatizzata<br />

‘partecipazione’ dei soggetti al lavoro non andava, per lo più, al di là del coinvolgimento<br />

nella raccolta dei dati utili all’anali<strong>si</strong> e nell’informazione sulle deci<strong>si</strong>oni di cambiamento.<br />

Dall’altro lato, una oppo<strong>si</strong>zione al funzionalismo, fiorita in concomitanza con le<br />

contestazioni studentesche e con i conflitti nel lavoro degli anni Sessanta, proponeva<br />

approcci di ricerca ‘qualitativa’, volta a ridare piena voce ai soggetti-oggetto della ricerca:<br />

es<strong>si</strong> dovevano esserne riconosciuti protagonisti, aiutati dall’impegno politico del<br />

ricercatore. Questo secondo orientamento non era certo presente nelle imprese, ma<br />

riguardava ampiamente il mondo del lavoro per opera di ricercatori in vario modo in<br />

relazione con l’azione <strong>si</strong>ndacale. <strong>Il</strong> dibattito sulla ricerca sociale, in particolare sul lavoro e<br />

sull’organizzazione, era quindi assai vivo, e non ne erano estranei i ricercatori-consulenti.<br />

E’ facile, su questo argomento, cadere in errori prospettici. Non <strong>si</strong> deve pensare,<br />

anzitutto, che in quegli anni <strong>si</strong> fronteggiassero una ricerca-consulenza funzionalista<br />

nell’impresa e una ricerca-consulenza anti-funzionalista nel <strong>si</strong>ndacato. In realtà il <strong>si</strong>ndacato<br />

ha largamente recepito, e anche praticato di sua iniziativa, l’approccio socio-tecnico, come<br />

recepirà succes<strong>si</strong>vamente i prodotti della ‘retorica post-fordista’, a cominciare dalla<br />

‘fles<strong>si</strong>bilità’ e dalla ‘autonomia nel lavoro’. Poi, non <strong>si</strong> deve pensare che quella breve<br />

stagione di oppo<strong>si</strong>zione al funzionalismo fosse una riconquista di spazi da parte di istanze<br />

soggettiviste. Ciò avrà piuttosto luogo negli anni Ottanta, in un nuovo clima liberista, il che

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