LXII Progetto di Tirocinio Virtuale in Fisica “Educazione Fisica”: corpo e movimento nell’insegnamento della cinematica Specializzando: Stefano Alberghi Supervisore: Prof. Giovanni Pezzi Classe A049
Riflessioni sulla fisica, la sua immagine, il suo insegnamento Naturalmente non è possibile in poche pagine delineare con accuratezza il proprio pensiero sulla fisica; pensiero che investe necessariamente ed è invest<strong>it</strong>o dall’immagine che se ne ha, la quale a sua volta determina inev<strong>it</strong>abilmente l’immagine che se ne intende trasmettere in una prospettiva educativa e formativa. Per parlarne, tra l’altro, sipotrebbe e si dovrebbe risalire alle origini della immagine che della fisica ci si è costru<strong>it</strong>i durante gli studi, dapprima di materie scientifiche alle scuole dell’obbligo, poi propriamente di fisica al liceo e all’univers<strong>it</strong>à e infine all’esperienza che se ne è avuta come insegnanti o come ricercatori o come semplici utilizzatori (in vari campi lavorativi). Certamente le riflessioni sulla didattica della fisica svolte nel corso della SSIS hanno aiutato a riportare alla mente l’esperienza di studente e stimolato una visione più consapevole dei propri processi di avvicinamento a questa disciplina. A propos<strong>it</strong>o di SSIS, personalmente mi sono reso conto in questo tempo, ma non era una sorpresa, di quanto spesso si “rischi” di trovare molta più “fisica” nelle discussioni di didattica, di epistemologia e di storia della fisica, di quanta ahimé a volte se ne possa trovare “facendola” direttamente, la fisica. Questo da un lato perchè il pensare la fisica in termini didattici comporta necessariamente una distanza cr<strong>it</strong>ica, una visione cr<strong>it</strong>ica dei suoi fondamenti, una valutazione della sua “comprensibil<strong>it</strong>à” alla mente del discente (e continuiamo tutti ad esserlo, discenti), un approfondimento dei suoi aspetti storici, un approccio anche epistemologico ad essa. Dunque una visone più completa, più un<strong>it</strong>aria, più profonda di essa. Dall’altro riconosco che il “fare fisica”, pur se consente di conoscere da vicino le frontiere della disciplina e di partecipare del suo sviluppo, oggi spesso rischi di ridursi ad una gara di corsa svolta in amb<strong>it</strong>i a volte troppo angusti, per cui nella ricerca il destino che attende molti è quello di divenire degli alienati incolti, come li chiama G. Toraldo di Francia [2] (e quanto questo influisce sull’immagine della fisica che “passa” nella stessa univers<strong>it</strong>à!) Concordo naturalmente quindi con Tars<strong>it</strong>ani [1] quando ricorda che “il modo di studiare, interpretare e comprendere la disciplina di un insegnante non è paragonabile a quello di un comune ricercatore in un ramo speciale di quella disciplina”. Naturalmente questa non è una regola: non c’è, credo, un motivo fondamentale concettuale (se non sociale o economico) per cui debba avvenire ciò. Non ci sono, cioè, ragioni di principio e naturalmente per fortuna non sempre avviene così. Del resto anche nella ricerca, così come nell’insegnamento, una consapevolezza storica, didattica ed epistemologica credo non sia solo utile, ma necessaria (al di là del successo o della buona riusc<strong>it</strong>a che la storia può attribuire, “contro ogni metodo”…). E in fondo r<strong>it</strong>engo vero quel che si afferma quando si dice che “solo chi è in grado di spiegare una cosa a sua nonna, l’ha realmente compresa”. È in fin dei conti una questione che coinvolge l’aspetto culturale della fisica, più che quello funzionale, o tecnico, aspetto che dovrebbe perciò essere patrimonio della cultura del comune c<strong>it</strong>tadino, anche di quello “non scienziato”. La scuola di base ha questo comp<strong>it</strong>o primario, tanto più se si rivolge a persone che non faranno i fisici. È sicuramente una sfida di grande portata. Le altre scienze forse perchè meno legate alla matematica, e poiché parlano dunque un linguaggio più “usuale” e più immediato (nel senso che non comporta un particolare studio del linguaggio stesso) hanno gioco più facile ad essere comprese ed integrate nella “cultura”. La fisica, per il rapporto privilegiato e unico che ha con la matematica, è spesso rifiutata dall’intelletto non addestrato, percep<strong>it</strong>a come distante, fredda, ecc. R<strong>it</strong>engo sia tuttavia più facile per la fisica che per la matematica affrontare questa sfida culturale, in quanto la fisica è in se stessa una scienza che in fondo parla della “natura”, del mondo in cui l’uomo vive quotidianamente, e ne parla nella maniera più fondamentale possibile (almeno ad oggi) e pone perciò continuamente sfide di senso, di significato, sfide interpretative e non meramente tecniche. Nella matematica tutto questo naturalmente c’è, ma è, come dire, sublimato, e quindi anche molto più difficile da riconoscere. Inoltre se la matematica può essere vista anche come un gioco, uno spazio di pura espressione della logica e della creativ<strong>it</strong>à, la fisica a mio parere no. Deve confrontarsi con la realtà e anzi da quella e solo da quella trarre spunto e motivo d’essere. È una faccenda seria, insomma. LXIII
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