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strumenti, con la volontà di comunicarlo al maggior numero di persone possibili, persuadendole del<br />

proprio punto di vista – che è forse uno dei difetti principali dei centri sociali, il loro isolamento e<br />

scarso confronto con la prospettiva di un’alterità. In altre parole, si tratta di trovare una legge o principio<br />

che possa sussumere ciò che si è dato “solo” per mezzo di casi esemplari. Principio non solo teorico<br />

ma anche giuridico, come già avvenuto in parte nel caso del Teatro Valle, del Municipio dei Beni<br />

Comuni, dell’Ex asilo Filangeri.<br />

Bisogna aspirare ad un quadro istituzionale e giuridico, però, che più che darsi dei principi stabili<br />

o statici, una normatività, un’universalità, possa garantire a ciascuna esperienza di occupazione di portare<br />

avanti quel carattere incompiuto, sempre performativo, che le contraddistingue. Un’indeterminatezza<br />

interna che possa essere colmata e ridefinita di volta in volta dai cittadini che attraversano lo<br />

<strong>spazi</strong>o e ne decidono le sorti; con delle condizioni, invece, da mantenere stabili, delle regole del gioco<br />

entro cui però “le opinioni abbiano un peso e le azioni un effetto” (9). Esempi di queste condizioni potrebbero<br />

essere di garantire un’effettiva apertura a tutta la cittadinanza; il carattere del no profit (ben<br />

diverso da un’idea di autoreddito); un costante dialogo con le istituzioni, che non sia un rapporto di<br />

subordinazione, ma avvenga secondo la modalità dei tavoli di discussione, e via dicendo.<br />

Infine, ritengo che non solo sia esemplare il dispositivo messo in opera dalle esperienze di autogestione<br />

per la ricostruzione di un tessuto politico e culturale all’interno delle <strong>città</strong>, ma anche che al loro<br />

interno questi <strong>luoghi</strong> siano in grado di dare origine ad altre forme di esemplarità: in altre parole che si<br />

tratti di <strong>spazi</strong> in cui i cittadini possono essere non solo spettatori anestetizzati di fronte a talk show politici,<br />

ma attori in grado di poter “giudicare” – e il giudizio, come ricorda Kant, “è un talento particolare,<br />

che non si può insegnare, ma soltanto esercitare” (2000, p. 113).<br />

BIBLIOGRAFIA<br />

ARENDT, H., Vita Activa. La condizione umana, Milano, Bompiani, 2000.<br />

ID., Teoria del giudizio politico, Genova, Il Nuovo Melangolo, 2006.<br />

ID., Le origini del totalitarismo, Torino, Einaudi, 2009.<br />

BAILEY S., MATTEI U., “Social movements as constituent power: The Italian struggle for the commons”, Indiana Journal of<br />

Global Legal Studies, 20, 2013, n. 2.<br />

DARDOT P., LAVAL C., “Del comune o della rivoluzione nel XXI secolo”, DeriveApprodi, 2015.<br />

FERRARA A., La forza dell’esempio. Il paradigma del giudizio, Milano, Feltrinelli, 2008.<br />

GARRONI E., Senso e paradosso. L’estetica, filosofia non speciale, Bari, Laterza, 1995.<br />

HABERMAS J., The Theory of Communicative Action, vol. 1, Boston, Beacon Press, 1984.<br />

KANT I., Critica della facoltà di giudizio, a cura di E. GARRONI, H. HOHENEGGER, Torino, Einaudi, 1999.<br />

ID., Critica della ragion pura, Roma-Bari, Laterza, 2000.<br />

TAVANI E., Hannah Arendt e lo spettacolo del mondo, Roma, Manifestolibri, 2010.<br />

VELOTTI S., “Hannah Arendt: la prospettiva del giudizio”, MicroMega, 8, 2006, pp. 147-152.<br />

ID., “Dare l’esempio: cos’è cambiato nell’estetica degli ultimi trent’anni?”, Studi di estetica, a. 43, IV serie, 2015, n. 3.<br />

ZUCCHELLO, D. “Il mondo in Hannah Arendt: apparenza e libertà”, Frammenti di filosofia contemporanea, vol. I, Limina<br />

Mentis, 2012, pp. 227-255.<br />

Università di Roma La Sapienza; clara.archibugi@gmail.com<br />

(9) La perdita di <strong>spazi</strong>o pubblico ha preoccupato Hannah Arendt sin da Le origini del totalitarismo: “La mancanza di un posto nel<br />

mondo che dia alle opinioni un peso e alle azioni un effetto” (p. 141).<br />

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