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è molto forte, così come la presenza sulla scena urbana di nuove collettività urbane che reclamano il<br />

diritto a sperimentare forme di uso, gestione e trasformazione inedite.<br />

Attraverso le discussioni di CIVISM è apparso sempre più evidente che lo <strong>spazi</strong>o pubblico sta attraversando<br />

una transizione da un sistema dicotomico pubblico-privato a un sistema nel quale emerge<br />

come nuova possibilità il collettivo, ma questi fenomeni e le nuove soggettività urbane che ne sono<br />

protagoniste sono difficili da rappresentare e comprendere. Per questo CIVISM ha tentato la strada di<br />

una mappatura pubblica degli <strong>spazi</strong> a gestione condivisa, una sorta di autorappresentazione di fenomeni<br />

emergenti fatta dagli stessi protagonisti, attraverso una scheda di rilevamento finalizzata a capire:<br />

quali soggetti si stanno prendendo cura dello <strong>spazi</strong>o pubblico, con quali intenzioni, che tipo di strategie<br />

e risorse utilizzano, di quali nuove regole hanno bisogno e in che modo l’amministrazione pubblica<br />

può svolgere un ruolo facilitante.<br />

In questa discussione ovviamente sono entrati, come possibile strumento di facilitazione dei difficili<br />

rapporti tra amministrazione e cittadini, i regolamenti per l’amministrazione condivisa dei beni<br />

comuni, ma l’ambiguità semantica contenuta in questo termine nel modo in cui è stato utilizzato<br />

nell’ambito del discorso sulla sussidiarietà, ha fatto sì che nella mappatura comparissero <strong>spazi</strong>, attori e<br />

forme di gestione molto diverse tra loro, che solo in parte hanno a che fare con la questione dei beni<br />

comuni come declinata dalle riflessioni riportate in apertura di questo saggio.<br />

La mappatura ha messo in evidenza che ci sono molti soggetti attivi nella ridefinizione dei modi<br />

attraverso i quali lo <strong>spazi</strong>o pubblico si trasforma, alcuni dei quali lavorano anche sull’innovazione delle<br />

pratiche del progetto e della realizzazione (che diventano partecipate, autocostruite, incrementali, low<br />

cost ed ecologicamente orientate). Molti cittadini sono attualmente impegnati nella gestione condivisa<br />

di giardini pubblici (Nidiaci, San Jacopino, Borgo Allegri, Carraia, Orti Dipinti, Nonsoloungiardino,<br />

ecc.). Altri nelle pratiche di arte pubblica partecipativa (Qualcosa da dire), finalizzata a ricreare comunità<br />

o alla risignificazione e riappropriazione dei <strong>luoghi</strong>. I cittadini impegnati in queste attività si mostrano<br />

sempre più attivi, creativi e organizzati nella difesa dai tentativi di privatizzazione e nell’autopromozione<br />

di attività culturali, aggregative, di riqualificazione, oltreché nelle pratiche di autofinanziamento,<br />

per contrastare sia la cronica mancanza di fondi pubblici sia la limitazione di indipendenza e<br />

la burocratizzazione che la loro disponibilità può creare. Questo tuttavia crea continue frizioni con le<br />

regole attraverso le quali è normato lo <strong>spazi</strong>o pubblico.<br />

Un altro fronte molto vasto è quello della rivendicazione delle terre agricole pubbliche abbandonate<br />

anche in ambito urbano, legato alla lotta contro la loro svendita in favore della rinascita dell’agricoltura<br />

contadina gestita in forma collettiva e della costruzione di un nuovo rapporto <strong>città</strong>-campagna, basato<br />

sull’alleanza tra produttori e consumatori (citiamo le esperienze dei “presidi contadini collettivi” di<br />

Mondeggi Fattoria senza padroni, Terre di Lastra bene comune, Orti collettivi autogestiti, I’Rovo, oltre<br />

al mercato contadino e delle autoproduzioni della rete Genuino Clandestino che si svolge mensilmente a<br />

sostegno di queste esperienze). Anche sui grandi contenitori dismessi la tensione è alta in <strong>città</strong>, con comitati<br />

che si oppongono all’abbandono, rivendicando usi anche temporanei, costringendo le amministrazioni<br />

ad aprirli e farli conoscere al pubblico sperimentandone usi possibili (il complesso medioevale di<br />

Sant’Orsola, l’ex ospedale psichiatrico di San Salvi, i contenitori industriali dismessi occupati dai centri<br />

sociali storici, per non parlare dell’incerto destino di un considerevole numero di ex caserme, tribunali,<br />

scuole e università in aree centrali o della questione dell’utilizzo dei fondi sfitti e giardini privati, come<br />

evidenziato dall’esperienza del gruppo “Qualcosa da dire” di via San Gallo che pratica un’interessante<br />

forme di nomadismo nel quartiere riutilizzando temporaneamente gli <strong>spazi</strong> vuoti).<br />

Sulla mappatura sono apparse anche esperienze di costruzione di welfare di comunità a vari livelli<br />

(di quartiere come nel caso della Comunità delle Piagge o del gruppo di Statuto in transizione, di<br />

strada come nel caso delle social street, oppure di condominio se non di singolo alloggio attraverso la<br />

pratica del co-housing).<br />

Altre esperienze fanno riferimento a forme ibride e più ambigue di gestione dello <strong>spazi</strong>o pubblico<br />

che prevedono il coinvolgimento di soggetti imprenditoriali, che hanno dato vita alla spiaggia sull’Arno<br />

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