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5. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE. — Senza dubbio l’analisi empirica condotta si propone come<br />

una provocazione: il tentativo (per certi versi audace e con precisi limiti interpretativi) è stato quello di<br />

provare a definire le categorie dei commons nel paesaggio urbano e di valutarne la loro capacità di farsi<br />

segno e simbolo di nuove e rinnovate processualità tese a costruire l’immaginario e lo stesso tessuto<br />

paesaggistico della <strong>città</strong> post-fordista.<br />

Se il paesaggio urbano è l’espressione di un progetto sociale che riflette priorità valoriali, i processi<br />

di commoning bene interpretano il nuovo senso della <strong>città</strong> che è quello, come detto, di tendere<br />

verso la qualità del paesaggio costruito e vissuto. Il che porta, con riferimento a quest’ultimo aspetto, a<br />

considerare i processi di commoning nel loro ruolo di costruttori di quel senso civico, comunitario che<br />

è – o dovrebbe essere – l’essenza stessa della <strong>città</strong>. Come ricorda Mumford (1938; trad. it. 1999,<br />

p. LXXI), “la <strong>città</strong> […] è il punto di massima concentrazione dell’energia e della cultura di una comunità<br />

[…]. Nella <strong>città</strong>, il patrimonio di una civiltà si accresce e si moltiplica; nella <strong>città</strong>, l’esperienza<br />

umana si trasforma in segni validi, simboli, forme di amministrazione e sistemi di governo”.<br />

Ne discende, allora, che il paesaggio urbano può proporsi come “bene comune” e tendere, nel<br />

suo divenire, a tradursi in processo di commoning laddove la sua costruzione trasformi il consumo di<br />

<strong>spazi</strong>o in produzione di territorio (Dumont, Cerreti, 2009) atteso e condiviso dalla Cittadinanza e laddove<br />

la sua formazione si orienti verso una crescita armoniosa e sistemica in grado di riassorbire le<br />

zone d’ombra, le marginalizzazioni degli <strong>spazi</strong> fisici e le diseguaglianze di quelli relazionali.<br />

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