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luppo economico è utile dunque guardare a quei percorsi di accumulazione che dalla crisi del fordismo<br />

classico accompagnano le tensioni interne ai processi di valorizzazione, tendendo a riorganizzare<br />

l’estrazione di valore su forme di chiusura, speculazione e iper-finanziarizzazione piuttosto che su un<br />

aumento dell’offerta produttiva. Una dinamica le cui logiche sono ben analizzate dai teorici del capitalismo<br />

cognitivo (Vercellone, 2006; Monnier, Vercellone, 2014) che, sebbene più attenti alle forme di<br />

smaterializzazione dell’economia, imperniate sul protagonismo crescente della dimensione cognitiva e<br />

immateriale del lavoro, forniscono indicazioni utili nella comprensione dei recenti percorsi di<br />

accumulazione capitalista. All’interno di questo filone teorico l’attenzione è posta sul tendenziale<br />

esaurimento della dinamica produttivista sottesa alla logica della merce e quale dinamica organizzativa<br />

del lavoro (Vercellone, 2010). La fine dell’imperativo produttivista implica che il capitale non produce<br />

più ricchezza sociale nei termini di un’abbondanza di valore d’uso. Al contrario, la maniera in cui si<br />

tende a mantenere in vita il valore di scambio è instaurando regimi di monopolio che producono scarsità.<br />

Più delle fabbriche, sono ormai i brevetti, i copyright, le privatizzazioni, i confini (Mezzadra, Neilson,<br />

2013) e le barriere giuridiche a porsi come i dispositivi maggiormente produttivi, i quali si trovano<br />

ad insistere con forza sulla dimensione del “comune”. È necessario inserire qui un distinguo. Se comune<br />

nell’ottica del capitalismo cognitivo sta ad indicare il carattere della produzione di un bene, la<br />

sua dimensione sociale, nella nostra accezione comune richiama l’idea di commons, di beni comuni.<br />

Abbiamo già menzionato l’esistenza di un ampio dibattito circa la definizione e la natura di quest’ultimi;<br />

senza volerne fare una sintesi ed ai fini del nostro ragionamento, ci limitiamo a dire che nel<br />

caso delle risorse naturali, e della risorsa terra in particolare, il carattere di comune entra in gioco in<br />

quanto riferito all’uso ed all’accesso ed ha come suo opposto l’idea di privatizzazione ed esclusività.<br />

Alla luce di quanto fin qui esposto, l’insistenza sulla terra, in particolar modo agricola, quale bene<br />

comune può essere letta come una peculiare tipologia di fix, dotata di una duplice caratterizzazione. Da<br />

un lato la terra entra nel processo di valorizzazione in quanto territorio, risorsa fisicamente e geograficamente<br />

situata. Vediamo allora come l’insistenza sui territori marginali e l’avanzare delle frontiere, tanto<br />

agricole che urbane, vada di pari passo con l’instaurarsi di nuovi equilibri <strong>spazi</strong>ali. In secondo luogo la<br />

terra interviene nel processo produttivo nella sua accezione di natura e di risorsa naturale, quale condizione<br />

di produzione (O’Connor, 1992). Oggi molti meccanismi di valorizzazione associati alla terra ed<br />

alle risorse naturali in essa inscritte, incontrano la mediazione della finanza. Pensiamo in particolare a<br />

quelli legati al cosiddetto “sviluppo sostenibile” ed alla green economy. Dalla biogenetica alla nascente<br />

categoria di capitale naturale sino alla monetizzazione dei cosiddetti servizi ecosistemici, la natura è<br />

messa direttamente a lavoro, divenendo una strategia di accumulazione in sé per sé (Smith, 2007). Dal<br />

punto di vista sociale ciò implica l’instaurazione di barriere giuridiche e prassi di accentramento fondiario<br />

che mentre includono le risorse nel processo di valorizzazione, tendono ad escludere gli individui<br />

precedentemente associati alla produzione ed al consumo di quelle stesse risorse.<br />

Le riflessioni appena formulate e la connessione tra crisi dell’economia urbana ed intensificazione<br />

dell’estrattivismo agrario ci permettono di situare un primo ponte tra <strong>città</strong> e campagna. Ciò risulta ancora<br />

più interessante alla luce dei due casi studio presentati nei contributi di Carabellese e Inverardi. Il<br />

primo presenta la “soizzazione” dell’Argentina ad opera di grandi monopoli dell’agroalimentare ed i<br />

relativi impatti socio-economici sui piccoli proprietari agricoli, principalmente votati alla coltura del<br />

cotone. Un esempio ante-litteram di quanto si sta proponendo oggi all’Africa? Con l’esempio argentino,<br />

Carabellesi mostra come il frame neo-colonalista, spesso associato ai fenomeni di land-grab, sia<br />

poco adatto nel decodificare i processi in corso, i quali rilevano maggiormente dell’affermarsi di nuove<br />

logiche produttive, che del semplice reiterarsi di vecchi modelli di dominazioni e governo. Il secondo<br />

contributo fornisce un’inchiesta etnografica ambientata nel quadro dell’estensione della metropoli pechinese<br />

in Cina e le conseguenze sulle economie informali, votate al riciclo dei rifiuti, a loro volta soggette<br />

ad una seconda tipologia di dispossessione, questa volta tecnologica. Si tratta di due analisi che è<br />

particolarmente interessante affiancare poiché entrambe le dimensioni, rurale e urbana, non solo sono,<br />

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