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Aa.Vv. (2016), Commons/Comune, Società di studi geografici. Memorie geografiche NS 14, pp. 275-276<br />

ROBERTA GEMMITI<br />

INTRODUZIONE<br />

Questa sessione ha avuto l’obiettivo di raccogliere testimonianze scientifiche utili a fare il punto<br />

della riflessione italiana sul tema dell’ambiente visto in una prospettiva che si intendeva diversa dall’usuale.<br />

Come è noto, ormai da decenni è in atto una progressiva e talvolta dura decostruzione del modo<br />

dualistico con il quale si è per molto tempo trattato il rapporto che intercorre tra ambiente e società.<br />

Nell’ambito di un più vasto ripensamento dei metodi e degli strumenti della disciplina, testimoniato<br />

dalle varie svolte che hanno caratterizzato la geografia dalla metà degli anni Settanta in poi, l’idea che<br />

la società e la natura siano regni diversi e distaccati è stata, per tutta una parte della geografia, decisamente<br />

messa da parte. E con questo passaggio è stata anche seriamente messa in discussione la fiducia<br />

nelle misure tecnico-economiche e ingegneristiche come soluzione al problema dell’impatto sociale sull’ambiente.<br />

La visione dualistica era infatti maturata nell’ambito di una progressiva scissione interna alla geografia,<br />

descritta già da Fitzsimmons attraverso tre momenti di scisma seguiti alla “pressione di un insistente,<br />

egemonico, crescente modernismo scientifico” (Fitzsimmons, 1989, p. 110): la “decostruzione”<br />

della geografia in umana e fisica; la separazione della natura dallo <strong>spazi</strong>o all’interno dei campi di ricerca<br />

della geografia umana e, direttamente legata a questa seconda separazione, la divisione interna<br />

alla teoria sociale tra scienze core e periphery. La geografia culturale (periphery) si legava all’antropologia<br />

dedicandosi alla descrizione e interpretazione storica degli paesaggi (spesso rurali) naturali ed<br />

antropici; la geografia economica e urbana (core) stringeva relazioni forti con l’economia e la sociologia,<br />

divenendo sempre più sistematica e formalizzata nel tentativo di spiegare strutture e relazioni.<br />

La geografia critica ha avviato una significativa riflessione a proposito del modo di guardare il<br />

rapporto della relazione società e ambiente, partendo dalla convinzione per cui considerare i due domini<br />

come separati portasse con sé: a) una limitazione notevole alla capacità di comprendere il problema;<br />

b) una mancanza di obiettività nella formulazione delle politiche (Castree, 2001). La limitatezza<br />

conoscitiva deriva dal fatto che in quest’ottica la natura viene guardata soltanto come problema ambientale,<br />

ignorando tutto il resto delle relazioni uomo-ambiente comprese quelle di tipo economicocommerciale<br />

e quelle in cui la natura non è ambiente (come il corpo umano); la parzialità nei riguardi<br />

delle azioni politiche consiste invece nel fatto che la visione separata tende a produrre una conoscenza<br />

tecnocratica, ammantata di scientificità, che raramente discute i processi socio-economici fondamentali<br />

nella trasformazione della natura (ibidem). Anzi, proprio dal dualismo discende direttamente il modo<br />

di interpretare ed indirizzare la gestione dei problemi ambientali, e dunque l’approccio manageriale<br />

fatto di regolamenti, interventi, incentivi, riforme e che non affronta mai l’ampio ventaglio di relazioni<br />

economiche, sociali e politiche che li determinano (Adger et al., 2001; O’Brien, 2010).<br />

Questa transizione verso un nuovo modo di intendere il rapporto società-natura è ormai compiuta<br />

nella letteratura geografica (Braun, 2008), ma il problema non è esaurito né sono esaurite le molteplici<br />

proficue ramificazioni del superamento dello human physical divide.<br />

È a questa capacità della geografia di innovare i concetti e gli strumenti di comprensione della società<br />

(Castree et al., 2014) che intendeva rivolgersi questa sessione. La nuova visione della natura proposta<br />

negli ultimi anni dalla geografia sembra decisamente adatta ad una visione di essa come bene<br />

comune, fuori dall’idea della dominazione/sfruttamento/conservazione che ha caratterizzato i decenni<br />

dello sviluppo capitalistico del Novecento.<br />

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