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Aa.Vv. (2016), Commons/Comune, Società di studi geografici. Memorie geografiche NS 14, pp. 637-642<br />

ANNA MARIA PIOLETTI, CECILIA LAZZAROTTO<br />

LA TRASFORMAZIONE DELLA CASERMA<br />

DEGLI ALPINI TESTAFOCHI<br />

1. INTRODUZIONE. — La volontà di creare un polo universitario in Valle d’Aosta prende avvio<br />

alla fine degli anni Ottanta del XX secolo. Dopo l’utilizzo di edifici religiosi e strutture scolastiche<br />

quali soluzioni temporanee l’attenzione ritorna alla creazione di un campus all’interno della caserma<br />

degli alpini Testafochi posizionata nella parte occidentale della <strong>città</strong> lungo l’arteria rivolta verso la<br />

Francia contenuta a nord dal doppio asse di attraversamento est-ovest e a sud dall’asse dello stabilimento<br />

Cogne. La caserma rappresenta un elemento rilevante nel nuovo assetto urbano e nodo centrale<br />

nelle ipotesi di pianificazione del territorio e gestione del paesaggio. Si trova infatti dentro la rete<br />

dei percorsi pedonali cittadini. Il suo ruolo ha assunto storicamente connotati diversi: ricostruzione<br />

della memoria storica e dei <strong>luoghi</strong>, difesa di un patrimonio storico culturale attraverso la creazione di<br />

un museo e di un sacrario destinati a raccogliere le testimonianze degli alpini. La sua riconversione da<br />

caserma degli alpini a campus universitario sito all’interno del centro urbano delinea una nuova identità<br />

culturale della <strong>città</strong>.<br />

Il contributo intende esaminare il ruolo svolto dalla struttura militare, la sua trasformazione tuttora<br />

in atto e gli studi preliminari che hanno portato alla definizione del suo nuovo utilizzo e del suo<br />

ruolo all’interno della <strong>città</strong> alpina.<br />

2. LO STATO DELL’ARTE. — La dismissione degli impianti produttivi degli anni Settanta e Ottanta<br />

del secolo scorso ha rappresentato la prima forma di trasformazione urbana con la creazione di<br />

vuoti nelle <strong>città</strong> minerarie, industriali e portuali del centro Europa e delle regioni atlantiche e centrali<br />

degli Stati Uniti. La dismissione industriale ha favorito l’interesse per lo studio di casi analizzati mediante<br />

un approccio analitico legato alla valenza urbanistica di riutilizzo delle aree e in seconda battuta<br />

come momento di “rigenerazione” urbana. Al geografo spetta il compito e l’opportunità di decifrare<br />

le nuove <strong>geografie</strong> scaturenti dai progetti di trasformazione delle strutture demaniali verificandone<br />

possibilità e coerenze con le trasformazioni in corso nel modo di concepire lo <strong>spazi</strong>o della fruizione<br />

e dell’abitare dei beni comuni (Dansero, 1993).<br />

In anni recenti si è affermata una linea di ricerca proposta dal lavoro di Tomaso Montanari<br />

(2015), che riprende alcune elaborazioni precedenti di Salvatore Settis (2014), Stefano Rodotà (2013)<br />

e Ugo Mattei (2011). La riflessione riporta il dibattito sui patrimoni immobiliari pubblici in particolare<br />

sul valore dei beni comuni, sulla loro natura e finalità, sugli obiettivi che possono soddisfare le<br />

trasformazioni a essi legate. Non esiste tuttavia in Italia una riflessione approfondita sul ruolo che i<br />

beni pubblici potrebbero giocare per accompagnare i processi di rigenerazione urbana. La fine della<br />

guerra fredda e la caduta del Muro di Berlino hanno segnato una svolta nella gestione dei beni sulla<br />

base di progetti di natura statale come la “Mission pour la réalisation des actifs immobiliers” nella vicina<br />

Francia. Più disorganico in quadro italiano che solo in alcuni casi ha previsto un vero recupero e<br />

una conseguente rigenerazione urbana.<br />

La dismissione di molte caserme è associata alle profonde trasformazioni che hanno interessato<br />

l’esercito italiano a partire dal 2001, anno in cui si è passati a un esercito di professionisti. L’organico<br />

del personale della Difesa si è contratto nel numero dalle 177.300 unità del 2013 alle 174.900 dell’anno<br />

2016 (Ministero della difesa, 2014).<br />

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