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ali che apparecchiano la scena costituente e (ri)fondativa. Una visione che ci consegna, nei tempi di<br />

mezzo, all’attesa messianica della rivoluzione. Manca un regime giuridico comune ai beni che definiamo<br />

come commons, dunque non si tratta di assumere una postura rivendicativa di un diritto<br />

dell’esistente da ripristinare, ma piuttosto una postura produttiva. Nell’agire dentro questa mancanza,<br />

si è partite/i dal presupposto che il corpo del diritto non sia un corpo liscio, uniforme, monolitica cristallizzazione<br />

dei rapporti di forza esistenti, bensì un campo striato, che può essere attraversato da tensioni<br />

diverse e da campi di forze dentro cui muoversi e creare disequilibri. Stando sul piano non della<br />

messa a norma o della concessione, ma piuttosto della traduzione in termini giuridici delle prassi e<br />

delle invenzioni dell’autogoverno del comune, lavorando dentro il diritto esistente anche a ri-creare<br />

genealogie – proprietà collettive (Grossi, 1977), funzione sociale della proprietà (Rodotà, 1960; 2012),<br />

scissione titolarità del bene e uso/godimento/gestione, statuti dei commons, ripresa dei lavori della<br />

Commissione Rodotà, e così via. Rimettere al centro l’idea di uso significa dunque collocarci sul terreno<br />

della fattualità, di “una prassi che trasforma la consuetudine in un nuovo diritto sociale agito,<br />

prima ancora che elargito dall’alto della giurisprudenza” (Giardini, Simone, 2012).<br />

Ancora, idea di “diritto vivente” come arte condivisa, come dimensione costituente, scrive Allegri,<br />

“di pratiche giuridiche che possono situarsi proprio all’incrocio tra evoluzione giurisprudenziale e inedite<br />

azioni di rivendicazione di diritti” (Allegri, 2012). È la stessa pluralità delle “fonti giuridiche” a essersi<br />

rivelata uno strumento efficace, attingendo a tutte le risorse a disposizione: sentenze, delibere, statuti, usi<br />

civici, norme costituzionali. Un repertorio da ri-giocare, che può costituire l’occasione di una politica federativa<br />

(relazionale) delle lotte, oltre la frammentazione ma anche oltre la ricerca di una sintesi unica.<br />

Scritture. A partire dall’esperienza politica del Valle e delle altre nate attorno ai beni comuni, si può<br />

parlare di istanze/attività/capacità autoregolative che eccedono qualsiasi fissazione positiva, dando vita a<br />

linguaggi non prescrittivi, a scritture, narrazioni a più voci. Possiamo pensare al diritto come a una scrittura<br />

regolativa, fluida, legata a corpi, abitudini, contesti? Attorno a questo interrogativo, riprendendo<br />

Kafka. Per una letteratura minore di Deleuze e Guattari, Allegri propone un’estensione al campo giuridico<br />

di un “uso creativo e minore del nuovo diritto comune”, e dunque della possibilità di praticare usi<br />

“minori”, sovversivi, destabilizzanti dall’interno di un canone dominante. La possibilità di un “nuovo diritto<br />

comune” si agisce dentro pratiche costituenti che possano “coniugare l’affermarsi di processi e<br />

azioni gius-generative, con la creatività giurisprudenziale” di un diritto vivente, contro “i fondamenti sovrani<br />

della legge e delle istituzioni di governo” (ibidem).<br />

Il nodo, anche da un punto di vista teorico, torna ad essere la prassi, affinché si dia una dimensione<br />

ininterrottamente istituente e trasformativa. Il che ci riporta, come in un giro di valzer o in un<br />

loop elettroacustico, alla fastidiosa puntura d’insetto di cui dicevo all’inizio.<br />

Fig. 7 – Manifestazione nazionale per i beni comuni, 17 maggio 2014.<br />

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