08.01.2017 Views

geografie luoghi spazi città

AaVv_Commons_2016_intero

AaVv_Commons_2016_intero

SHOW MORE
SHOW LESS

You also want an ePaper? Increase the reach of your titles

YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.

2. BREVI CONSIDERAZIONI SULLA CATEGORIA DEI BENI COMUNI. — Parlare di “beni comuni” (4)<br />

significa abbracciare una realtà vasta, composita, a volte intangibile e della quale sono state fornite varie<br />

definizioni che privilegiano l’aspetto relazionale alle tradizionali classificazioni basate sull’analisi delle caratteristiche<br />

morfologiche e sulla titolarità formale dei medesimi. Ad esempio, Unimondo li qualifica<br />

come “l’insieme dei principi, delle istituzioni, delle risorse, dei mezzi e delle pratiche che permettono ad<br />

un gruppo di individui di costituire una comunità umana capace di assicurare il diritto ad una vita degna<br />

per tutti”. Tale espressione non è lontana da quella fornita dalla dottrina sociale della Chiesa Cattolica,<br />

secondo la quale “per bene comune si intende l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono,<br />

sia alla collettività sia ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e<br />

più celermente” (Pontificio consiglio della giustizia e della pace, 2004) ed infine Riccardo Petrella (2005,<br />

p. 29) ritiene che essi siano “una serie di beni e servizi materiali e immateriali che rispondono a bisogni<br />

individuali vitali”. Tuttavia, l’uso del sintagma “bene comune” e la sua plurima interpretazione acquista<br />

rilievo in un preciso momento storico che non può essere trascurato per comprendere le ragioni per cui<br />

Hardin nel 1968 formula la teoria della “Tragedia dei beni comuni” (5) per “descrivere il degrado<br />

dell’ambiente che è lecito attendersi quando molti individui utilizzano in comune una risorsa scarsa”<br />

(Ostrom, 2006, pp. 12-13). Gli studi compiuti da Hardin manifestano la sostanziale inattitudine della<br />

comunità ad autoregolamentarsi per impiegare in modo sostenibile le risorse comuni, a meno che la collettività<br />

non accetti “una forza coercitiva esterna alle menti dei singoli, un Leviatano, per usare il termine<br />

di Hobbes” (Hardin, 1978, p. 314). A ben riflettere, il modello gerarchico prospettato dal biologo evoluzionista,<br />

poiché accentra funzioni, ricchezza e risorse, rende impraticabili le relazioni orizzontali tra i sistemi<br />

e provoca degrado e povertà. Dunque, è un archetipo che nel breve periodo produce benessere ma<br />

nel tempo diviene insostenibile per il crescente consumo di risorse, a tal punto da richiedere una mobilitazione<br />

sempre più grande di energie. Questa contraddizione, secondo il Premio Nobel Elinor Ostrom<br />

(2006), può essere superata attraverso la progettazione di scenari alternativi che inducono gli attori alla<br />

ricerca di differenti processi di appropriazione ed uso delle risorse collettive attraverso forme pattizie di<br />

democrazia diretta. La popolarità della sua tesi risiede nella certezza che la gestione dei “beni comuni”<br />

non si risolve in una sequela di rigide scelte dicotomiche (pubblico/privato, organizzazione/anarchia)<br />

dettate da strutture etero-imposte (6), bensì attraverso un continuum di infinite combinazioni possibili.<br />

Quello che manca, dal punto di vista degli strumenti di analisi di policy – scrive la Ostrom (ibid., p. 42) –<br />

“è una specifica ed adeguata teoria di azione collettiva che spieghi come un gruppo di attori può organizzare<br />

se stesso per dare un esito positivo ai suoi sforzi” (7) nell’elaborazione e realizzazione di un progetto<br />

condiviso. Di conseguenza, ella sostiene che il problema prioritario che gli utilizzatori di un bene di uso<br />

comune devono risolvere è munirsi di una struttura organizzativa elastica e mutevole che incoraggi la<br />

scelta di strategie cooperative, al fine di garantire l’utilità del bene anche per gli altri fruitori (8). Il di-<br />

(4) La locuzione citata è stata ampiamente adottata in campo economico, giuridico e sociologico e corrisponde all’inglese commons,<br />

termine che si diffuse nei Paesi anglosassoni durante il XV secolo. Per una ricostruzione storica ed etimologica dei commons si vedano Sachs<br />

(2006); Ricoveri (2010); Mattei (2011); Antelmi (2014).<br />

(5) Prima di Hardin, altri economisti hanno affrontato la tematica dei commons. Nel 1911 Coman pubblicava sull’American Economic<br />

Review un articolo relativo ai problemi legati alla gestione dell’acqua; nel 1954 si assiste alla divulgazione dell’articolo “The economic theory<br />

of a common-property resource: The fischery” dell’economista Gordon. Ulteriori approfondimenti scientifici sono stati condotti nel 1954 da<br />

Samuelson sui beni pubblici e nel 1965 da Olson sulla logica dell’azione collettiva. Negli anni Sessanta, grazie a questi contributi nascono<br />

quattro filoni di ricerca economica ma è solo dal 1985 che gli studi sui “beni comuni” nonché il dibattito scientifico, politico ed economico<br />

diventano più intensi ed operativi (Gattullo, 2015).<br />

(6) “Tuttavia, ciò che si può osservare a livello globale è che né lo Stato né il mercato sono stati continuativamente capaci di dare agli<br />

individui un sistema produttivo di sfruttamento delle risorse sostenibile nel lungo periodo. Al contrario, vi sono casi di comunità che per<br />

governare qualche risorsa hanno fatto affidamento su istituzioni diverse dallo Stato e dal mercato con un ragionevole grado di successo nel<br />

lungo periodo” (Ostrom, 2006, p. 12).<br />

(7) In economia “l’azione collettiva è qualsiasi azione che produce e consuma interdipendenze indivisibili. Non basta dunque fare<br />

qualcosa insieme, affinché si possa parlare di azione collettiva. Occorre di caso in caso verificare se quelle attività danno forma ad<br />

un’interdipendenza indivisibile che, in assenza dell’unione tra i soggetti del gruppo, si realizzerebbe per nulla o in modi assai carenti”<br />

(Bellanca, 2007, p. 213).<br />

(8) Ostrom (2006, p. 63) afferma che quando si impiegano beni comuni “ciascun individuo deve tener conto delle scelte degli altri in<br />

sede di valutazione delle scelte personali perché usando una risorsa collettiva, tutti sono influenzati reciprocamente e sono legati fra loro da<br />

una rete di interdipendenze”.<br />

– 194 –

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!