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3. LA CONVENZIONE DEL 1997: VERSO UN BENE COMUNE TRANSFRONTALIERO. — L’evoluzione<br />

normativa nel settore idrico è stata sicuramente complessa ed articolata, informata per lo più dalle necessità<br />

strategiche ed economiche dei soggetti interessati.<br />

Tali, forse, appaiono essere le motivazioni principali che hanno posto seri e duraturi ostacoli alla<br />

piena e sostanziale definizione di un corpus giuridico che tendesse a recepire e strutturare sempre di<br />

più i bacini idrografici internazionali come veri e propri beni comuni internazionali. Proprio la dimensione<br />

del “comune” appare essere l’elemento discriminante che sul piano scientifico risulta essere più<br />

interessante. Le risorse idriche, che già il diritto romano definiva res communis omnium, incontrano<br />

forse maggiore difficoltà in quel cammino di piena e concreta definizione scientifica e funzionale nell’ampio<br />

scenario dei beni comuni.<br />

In primo luogo emerge con evidenza una domanda: a chi spetta tutelare il carattere del “comune”?<br />

Sembra una domanda banale, in realtà essa racchiude il senso del dibattito sul tema dei beni<br />

comuni. Essi pur essendo ontologicamente destinati a non essere oggetto di diritti di proprietà, o di diritti<br />

di sfruttamento esclusivo, tendono per la loro rilevanza a scivolare nello scenario della contesa, alle<br />

diverse scale territoriali. È in questa prospettiva che numerosi contributi, primo fra tutti Bridge (2014),<br />

stanno ripercorrendo e rivalutando sentieri e strumenti per la tutela e la salvaguardia dell’essenza<br />

stessa dei beni comuni, recuperando la centralità del pubblico quale garante di utilità diffusa di beni<br />

come le risorse idriche.<br />

Tornando al nostro ambito occorre osservare che la codificazione giuridica ha dovuto fare i conti<br />

con gli interessi strategici che incorporano i fiumi: come vie di comunicazione, come fattore produttivo,<br />

come fonte energetica, nonché come risorsa turistica. In altri termini, la dimensione del comune<br />

crea conflittualità quando il bene in esame può veicolare valore economico e strategico.<br />

In questo scenario il dibattito giuridico è approdato ad un concettualizzazione che, in questa sede,<br />

sembra racchiudere l’essenza stessa della questione. Dopo una lunga fase di studi e successivi passaggi,<br />

durata circa trent’anni, nel 1997 viene adottata in seno alle Nazioni Unite una Convenzione che enuncia<br />

i principi per lo sfruttamento di corsi idrici internazionali.<br />

L’analisi dei principi alla luce di quanto abbiamo osservato sino ad ora ci permette di affermare<br />

che da essa, oltre a desumere norme di condotta, è possibile estrapolare alcuni caratteri che ci permettono<br />

di qualificare i beni comuni internazionali.<br />

La lettera della Convenzione nella sua stesura definitiva utilizza un concetto molto interessante<br />

dal punto di vista epistemologico, ossia quello di community of interests, reperibile nell’articolo 7. Infatti<br />

essa si riferisce in questi termini al complesso di interessi che si articolano su diverse scale territoriali<br />

e differenti sfumature soggettive in ordine alle possibili forme e modalità di sfruttamento della risorsa<br />

idrica. Facendo leva sul principio dell’abuso del diritto, la Convenzione pone limitazioni allo<br />

sfruttamento unilaterale delle risorse, in favore di una più ampia e condivisa compagine di interessi.<br />

Tale approccio spinge a rinvenire nell’intero sistema di norme, un sotteso spirito di utilità diffusa alla<br />

scala di bacino, riconducibile al concetto della pubblica utilità degli ordinamenti interni.<br />

Ciò risulta ancor più vero e rafforzato da quanto contenuto nell’articolo 10 della Convenzione, che<br />

correla lo sfruttamento delle risorse idriche internazionali al rispetto degli human rights e human needs.<br />

Secondo quanto abbiamo affermato in precedenza, la Convenzione del 1997 ci permette di rinvenire tra i<br />

suoi principi, quelli che a nostro avviso possono rappresentare i caratteri distintivi dei beni comuni.<br />

In primo luogo dobbiamo osservare che la Convenzione ponendo l’attenzione sull’ipotetica rete di<br />

interessi operanti alla scala di bacino, tende a tutelare l’entità fisica e territoriale del bacino in quanto<br />

“soggetto” primario di diritti, ponendo su un piano preminente l’integrità territoriale del bacino, rispetto<br />

agli interessi specifici dei Paesi rivieraschi. Questa previsione porta la Convenzione ad operare<br />

altre qualificazioni del bacino internazionale, nella prospettiva del bene comune internazionale. Tali<br />

qualificazioni possono essere riscontrate ad esempio nell’articolo 5, in cui si prevede il diritto di accesso<br />

alla risorsa per i members of river community, riconoscendo con tale previsione che il perseguimento<br />

degli interessi deriva dal fattore accessibilità.<br />

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