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tico teatro di Roma a Torre Galfa a Milano, al Teatro Garibaldi di Palermo, alla Cavallerizza di Torino,<br />

al Teatro Rossi di Pisa (tutti <strong>spazi</strong> di incalcolabile valore storico-architettonico e con una storia<br />

significativa per la vita artistica a livello nazionale, quando non europeo), hanno rilanciato la pratica<br />

dell’occupazione e la sua legittimità. L’evaporare di ogni <strong>spazi</strong>o mediale assume ora anche i tratti di<br />

una criminalizzazione attraverso cui le forme di conflitto sociale e l’attivismo vengono assimilati alla<br />

criminalità organizzata, e i processi di negoziazione politica narrati come episodi di collusione (20).<br />

Non si tratta di repressione soltanto, assistiamo piuttosto al dissolversi dell’acquisizione – conquistata<br />

in un ciclo lungo di lotte – della legittimità dei conflitti politico-sociali nel riequilibrare le asimmetrie<br />

tra governanti e governati.<br />

Fig. 6 – “The plot is the revolution”, Motus e Living Theatre al Teatro Valle Occupato, in collaborazione con<br />

Angelo Mai, con Silvia Calderoni e Judith Malina, luglio 2013.<br />

Che la crisi della democrazia rappresentativa sia il correlato di un più ampio processo di frammentazione<br />

giuridica che marca la contemporaneità è articolato ampiamente in molte analisi. Lo Stato<br />

non ha più il monopolio della produzione del diritto. Questo processo di destrutturazione produce effetti<br />

inediti: flessibilizzare il comando, svuotare i <strong>luoghi</strong> della democrazia formale, predisporre tecnologie<br />

di partecipazione, decentrare la produzione normativa (Chignola, 2012). La sovranità statuale<br />

viene per così dire destituita, ma dall’alto e la governance che si disegna è dichiaratamente post-democratica.<br />

È questo lo scenario in cui ci troviamo a muoverci, e non si tratta di rincorrere fantasie restauratrici,<br />

al contrario. Questo processo in atto può aprire al contempo possibili <strong>spazi</strong> di azione e di libertà<br />

collettive? Quali formule, percorsi, itinerari progettare per rispondere alla sfida sul presente?<br />

Anche alla luce di queste considerazioni, si è attraversata la questione della relazione tra politica e<br />

diritto. Agisce, nella discussione teorica, una polarità tra il rifiuto marxista del diritto come travestimento<br />

dei rapporti di forza e un approccio realista che fa un utilizzo strumentale di retoriche dei diritti<br />

(21). In una fase di sospensione delle mediazioni e di crisi delle forme del politico, il giuridico è<br />

stato assunto e praticato dalle lotte per i commons non solo nel suo uso rivendicativo, ma piuttosto<br />

come un possibile terreno generativo, di creazione di diritto (22). L’idea degli usi politici del diritto<br />

scavalca la visione, profondamente storicista, che il diritto conosca solo grandi momenti storici inaugu-<br />

(20) Questo è particolarmente evidente nella vicenda di Mafia Capitale a Roma e il suo utilizzo mediatico per colpire i movimenti di<br />

occupazione delle case a scopo abitativo.<br />

(21) Sull’elaborazione di un uso politico del diritto, si è svolto al Valle un lungo ciclo seminariale, con il fondamentale contributo di<br />

Federica Giardini, dal titolo “La politica dei beni comuni” (dicembre 2012-aprile 2013), di cui ripercorro qui brevemente alcuni nodi<br />

tematici.<br />

(22) Per una panoramica sul dibattito italiano, cfr. Marella (2012).<br />

– 22 –

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