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2. PER IL SUOLO BENE COMUNE. — Una prospettiva di lavoro utile a contrastare la visione puramente<br />

mercantile del suolo, dovrebbe porre al centro delle elaborazioni e delle pratiche urbanistiche<br />

un punto di vista fondativo: la concezione del suolo come bene comune (Caridi, 2010; Arcidiacono,<br />

2011; Di Simine, Ronchi, 2012; Paoloni, 2012; Pileri, Granata, 2012; Moroni, 2015b). Un’istanza, questa<br />

dei beni comuni, che, sebbene tecnicamente amorfa, dovrebbe costituire un nodo centrale nel dibattito<br />

sui nuovi paradigmi per una società autenticamente consapevole e autodeterminata (Ricoveri,<br />

2010; Mattei, 2011; 2015; Pennacchi, 2012; Settis, 2012; Lucarelli, 2013; Ferrajoli, 2013a; 2013b; Rodotà,<br />

2013; Somaini, 2015; Moroni, 2015b). È opportuno specificare questo quadro di riferimento, sia<br />

in relazione al tema generale dei beni comuni sia in riferimento alla specifica questione del suolo come<br />

bene. Questione che risulta molto ampia e variegata, si passa, infatti, dalle più complete aperture di<br />

credito che stanno contribuendo a tracciare una coordinata qualificatoria di fondo su cui sembra essere<br />

destinato a riorientarsi il dibattito dei prossimi anni, agli atteggiamenti più temperati riassumibili,<br />

ad esempio, dalla posizione di Laura Pennacchi (2012), che riconosce una sorta di retorica dei beni<br />

comuni contraddistinta da una carica antiscientifica portata avanti attraverso una fumosa indistinzione<br />

che mira ad attribuire la qualifica di bene comune a tutto ed al conseguente ipertrofico uso di questa<br />

categoria di beni come panacea d’ogni problema, per giungere, infine, agli orientamenti più critici riguardo<br />

sia al cambiamento culturale in atto in relazione ai beni comuni (Vitale, 2013; Moroni, 2015a)<br />

sia all’aspetto più che mira ad intendere il suolo come un bene comune (Moroni, 2015b).<br />

In campo urbanistico, la tematica del suolo bene comune, o meglio, ciò che ha a che fare con alcune<br />

questioni strutturali come la sua proprietà, controllo ed uso dovrebbe diventare una linea di revisione<br />

concettuale delle modalità di controllo e gestione delle dinamiche territoriali; in altri termini il<br />

corpus su cui reimpostarne il quadro concettuale di riferimento (Marcuse, 2009).<br />

Per poter assicurare questa diversa visione del suolo occorre un fondamentale cambio di paradigma<br />

nel modo in cui esso è definito e trattato. Serve la mossa del cavallo. Nel gioco degli scacchi il<br />

cavallo è l’unico pezzo che può scavalcare gli altri. E muovendo da una casella nera arriva sempre in<br />

una casella bianca. E viceversa. Perciò nel trattare il suolo occorre scavalcare la nostra stessa mentalità<br />

ribaltando l’ottica che, oggi, lo relega a sterile supporto per il mercato, pensando e ragionando piuttosto<br />

in termini di bene comune. Il graduale recupero di una percezione del suolo come bene comune ci<br />

permette di innescare una dinamica tesa a sottrarlo alle logiche di mercato che hanno determinato negli<br />

ultimi decenni non solo una sua inesorabile e progressiva cannibalizzazione, ma anche una completa<br />

espropriazione di ogni significato collettivo.<br />

Poiché i beni comuni sono una classe di beni che si proiettano nell’esperienza sociale come presupposti<br />

di ogni forma di agire e insieme come esiti dell’interazione sociale, è necessario lavorare per<br />

mettere in primo piano l’intreccio fra processi di governo del territorio ed istanze che emergono dalle<br />

società insediate. Muoversi verso questa prospettiva comporta in primo luogo favorire la tensione creativa<br />

delle comunità (una tensione frutto di consapevolezza e di partecipazione attiva, e che si esprime<br />

attraverso interazioni e conflitti al suo interno e con l’esterno), dare centralità alle relazioni di prossimità<br />

tra abitanti e risorse locali, ricostruire matrici identitarie, anteporre il valore costitutivo, etico dei<br />

rapporti sociali e della solidarietà, lavorando per riaffermare una cultura della sfera pubblica. E da qui,<br />

sedimentare una progettualità collettiva in grado di ridefinire il futuro del lavoro e dell’abitare. In questa<br />

interazione tra soggetti, l’amministrazione pubblica (o comunque il soggetto pubblico che ha competenza)<br />

è chiamata a svolgere un ruolo centrale (Ostrom, 1990); non solo per la sua capacità operativa,<br />

ma soprattutto per la sua funzione di rappresentante di una collettività.<br />

La divulgazione degli sviluppi relativi alla ricerca sui beni comuni ha permesso a sempre maggiori<br />

persone di rendersi conto che esistono, rispetto alla proprietà privata e pubblica, anche istituzioni di<br />

diverso tipo, e che soprattutto queste sono ad esse complementari. La prospettiva dei beni comuni, che<br />

secondo alcuni oggigiorno rischia di essere addirittura abusata e mistificata (Vitale, 2013), ha assunto<br />

sempre maggiore centralità, travalicando i confini dei singoli ambiti disciplinari, a partire dal primo lavoro<br />

di Garrett Hardin (1968) per Science sulla “tragedia dei beni comuni”, in cui per la prima volta<br />

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