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dinamiche concrete di insediamento e le modalità di uso del suolo. Più in generale dovrebbe essere incentivata<br />

la capacità degli enti locali di mettere in campo azioni basate su metodiche d’uso del suolo<br />

capaci di porre attenzione verso il tema dei beni comuni (ad esempio per le terre di uso civico, per i<br />

beni demaniali di proprietà pubblica, per i terreni confiscati alla criminalità organizzata, ecc.); o, comunque,<br />

capaci promuovere esperienze virtuose come quelle legate da una parte all’agricoltura contadina<br />

e di prossimità, ed alle pratiche delle reti di cooperazione (tendenti a privilegiare i consumi collettivi<br />

e non quelli individuali, la solidarietà e non la concorrenza), e dall’altra alla revisione del concetto<br />

di vuoto/non edificato ed alla successiva definizione di politiche di appropriazione sociale di questi<br />

vuoti (portate avanti, ad esempio, attraverso la tematica dei cosiddetti orti urbani). Sempre su questa<br />

linea di lavoro, va prestata comunque particolare attenzione alle possibili sinergie fra strumenti formali<br />

e strumenti diversamente orientati. Mettere al centro la pianificazione istituzionale, ed in particolare<br />

quella comunale, non significa rinunciare alle possibilità offerte dagli altri strumenti: va quindi prestata<br />

particolare attenzione alle possibili sinergie fra strumenti formali e strumenti diversamente orientati.<br />

Mentre, al contrario, vanno assolutamente combattuti quegli strumenti che tendono a mortificare la<br />

cogenza e la valenza strategica dei piani ed a espropriare gli abitanti della loro capacità creativa.<br />

4. UNA POSSIBILE STRATEGIA D’AZIONE: DA “VUOTO URBANO” A “SUOLO COMUNE”. — Vediamo<br />

adesso come potrebbe essere impostata una strategia d’azione volta a promuovere la “riconversione”<br />

dei vuoti urbani in brani di suolo comune. Il contesto di riferimento è un ambito urbano di dimensioni<br />

contenute (ad esempio una circoscrizione, un quartiere, una piccola <strong>città</strong>).<br />

1) Costituzione di “Reti di coordinamento locale per il suolo comune”. Il primo passo consiste nel formare<br />

un’aggregazione di soggetti della società civile e della sfera politica, collettivi e individuali,<br />

che vivono e operano nel contesto locale. Potremmo definire questa aggregazione “Rete di coordinamento<br />

locale per il suolo comune”.<br />

2) Indagine sulle aree non edificate. La Rete promuove un’indagine sui caratteri del suolo nel contesto<br />

urbano. Ciò comporta: a) individuare le aree su cui non insistono edificazioni di alcun tipo;<br />

b) descrivere le attuali condizioni d’uso; c) chiarire le loro forme di proprietà (demaniale, pubblica,<br />

privata, ecc.) e di gestione (pubblica, privata, mista, ecc.), con particolare attenzione alle<br />

aree demaniali o di proprietà pubblica e alle aree ad uso civico; d) evidenziare le indicazioni normative<br />

definite per ciascuna area dagli strumenti urbanistici; e) verificare l’esistenza di progetti<br />

approvati o in itinere; f) inserire i dati raccolti in un’adeguata cartografia di base e prevedere<br />

l’implementazione di un adeguato database.<br />

3) Attribuire la qualifica di “suolo comune” alle aree demaniali o di proprietà pubblica e alle aree ad uso<br />

civico. A questo punto, si deve procedere in primo luogo ad azioni tese ad attribuire la qualifica di<br />

“suolo comune” alle singole aree demaniali e di proprietà pubblica dove non insistano edificazioni.<br />

Questa è la condizione che genera meno problemi; vanno però valutate con attenzione le diverse situazioni<br />

che si possono incontrare in relazione allo stato materiale, alla destinazioni d’uso ed alla<br />

modalità di gestione. Per le aree utilizzate a verde pubblico (giardini pubblici, parchi urbani, ecc.), il<br />

passaggio allo status di “suolo comune” non presenta grandi difficoltà. Caso meno semplice è quello<br />

delle aree attualmente prive di utilizzazione. Le difficoltà sono legate alla destinazione d’uso definita<br />

dallo strumento urbanistico vigente e alle relative intenzioni dell’istituzione territoriale; i casi più<br />

problematici sono la destinazione edificatoria e la alienazione, ma problemi di non poco conto riguardano<br />

la concessione a privati dell’utilizzo a fini pubblici (tipici casi sono gli arenili e gli impianti<br />

sportivi). Qui il primo, grande risultato da raggiungere è che venga vietato qualunque intervento di<br />

edificazione o di impermeabilizzazione: la terra (o l’acqua) deve essere lasciata libera, o resa di<br />

nuovo libera se nell’area esiste una qualche forma di copertura artificiale “non funzionale”. E la<br />

terra dovrà essere messa a disposizione degli abitanti affinché individuino collegialmente (con opportune<br />

metodiche condivise) le forme di gestione e di fruizione: ad esempio, impiantare degli orti<br />

urbani, realizzare un bosco, un giardino, un vivaio non commerciale, un parco, e così via.<br />

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