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uto alla catena del valore. Dopo la salute e l’assistenza, ecco l’orientamento e il learning faidate, ma la<br />

sintesi solidarietà-libertà è monca se manca l’organizzazione sociale.<br />

Nell’iperbolico completo benessere (14) delle augmented life, occorre un contraltare gruppale alla<br />

messa al lavoro di sentimenti, cognizioni e emozioni, perché le competenze si accumulano (e si disperdono)<br />

nei territori. Più che promozione e training del cambiamento di stile di vita-lavoro (non mancano<br />

i mercati in cui scegliere palestre di corpi e menti, coach e mentori), che mette in ombra scelte<br />

non sempre libere di svilupparsi, è più ragionevole un intervento “alle persone” che aggreghi vite degradate,<br />

passando da una funzione pubblica a una funzione collettiva (relazionalizzante più che razionalizzante)<br />

e dall’interesse collettivo all’interesse socio-relazionale. Oggi i servizi sono privati con residui<br />

di politiche passive del lavoro. Si chiede lavoro allo “Stato”, che dal mercato del lavoro è uscito<br />

perché troppo complesso da governare. I pilastri della coesione UE del 97 sono solidalproduttivisti, liblab<br />

(15), centrati su adattabilità, imprenditorialità, occupabilità, spendibilità delle competenze, a cui è<br />

stata aggiunta la qualità della vita locale, ma da noi declinati con schemi giuridici (specializzazione<br />

monolavorativa, sportelli aperti in orari incompatibili, poco ospitali, che non si parlano fra loro) inadeguati<br />

ad attrarre e abilitare vite-lavori. I progetti, finanziati solo coi fondi comunitari, sono sperimentali,<br />

e welfare, servizi socio-sanitari e servizi alla formazione e occupazione non sono integrati. Perché<br />

non ipotizzare società dei lavori o aziende di longlife learning e occupazione? In questo ambito poi lo<br />

scarso riconoscimento degli esodati è umiliante, non rispettoso.<br />

Il disallineamento domanda-servizi incrocia le biopolitiche (Bazzicalupo, 2006) di miglioramento,<br />

più o meno smart, gentilmente indotte: comunicare, essere, creare, emozionarsi assumono allora un<br />

baumaniano retrogusto amaro di vita “a caccia di qualità” in cui la vita non è tutta “buona” perché il<br />

soggetto è più gettato sotto (sub-jectum) che avanti (pro-jectum). Le biopolitiche sono oggetto di<br />

microdiscorso: il commoning pare allora il miglior antidoto alle “vite da detective” (sempre solo, tranne<br />

nei gialli scandinavi), invase dal lavoro, febbrilmente (perché mai?) attentive, thrilling. L’accelerazione<br />

turbocompetitiva dei mercati demand-driven è sismografica: soggettivazione, oggettivazione di vite<br />

(commodities del sé) e rapido godimento (consumo) che ricrei il desiderio, in spirali depressione-euforia<br />

simili a quelle borsistiche, con una sensazione di non esser pienamente in control, come l’infans (16). Il<br />

“papalagi non ha tempo” (17): corpi e abilità sono ottimizzati e produttivi 24 × 7: nei call center hai tre<br />

minuti di forza-valore per fissare l’appuntamento. L’urgenza del memento vivi oltre il pieno sconfina<br />

col vuoto, perde ponderazione, in una schizofrenica caccia all’inconsueto che ricorda lo stare all’erta<br />

come (gruppi) di antenati cacciatori (e difesa dai predatori) nella savana, depotenziando i ritmi omeostatici<br />

ed ecologici dei raccogliori della foresta. Benessere e desideri non hanno la velocità dei mercati e<br />

si invertono così di segno, consumandosi in un patologica ansia di arricchire vite-longlife learning, rischiose<br />

(Beck, 2000), che possono fallire se non arriva la buona mano di carte al lifegame (ludopatiche).<br />

Nel “very business of living” (Giddens, 1991) si snaturano le emozioni, commodificate, “uberizzate”,<br />

trafelate sull’hic et nunc del work life imbalance (18). La polarizzazione fast life-vite vuote, salvati<br />

e sommersi, pare superabile solo col commoning, che allarga lo spettro degli interessi a un coping riequilibratore<br />

più gruppale.<br />

(14) OMS (1948), e dagli anni Ottanta ancora più decisamente sociale (ma dalla protezione alla promozione, non a caso col sorgere del<br />

neoliberismo).<br />

(15) Una sintesi complessa fra libertà competitiva (di desiderare, scegliere, svilupparsi e competere) e uguaglianza cooperativa<br />

(interesse pubblico a functionings minimi vitali).<br />

(16) Più esattamente la spirale è desiderio ipernarcisista di nuovi mondi di vita potenziati (assedio di opportunità di consumo), rapida<br />

scelta e incorporazione/reificazione (accumulazione autosfruttante) in competenze da vendere (capitale umano, capitale sociale), quindi<br />

depressione (ma con ridotta elaborazione simbolica perché troppo rapida, non sedimenta il lutto) e innesco di nuovo desiderio.<br />

(17) Il Papalagi è l’uomo bianco di Scheuerman, 1994. O la Regina Rossa di Alice nel Paese delle Meraviglie. “Giro, vedo gente, mi<br />

muovo, conosco, faccio cose”, ma affannoso, non pigramente morettiano.<br />

(18) Davvero crinale cruciale, tema che richiama le pari opportunità, le differenze di genere nella salute, il carico dei lavori di cura e<br />

dell’oikos mal distribuiti, un turnover troppo rapido di competenze e flessibilità di orario/sede di lavoro che riduce gli investimenti affettivi<br />

stabili. Si pone un problema politico centrale, non pienamente compresa, di compatibilità vita-lavori, perché poca formazione è rischio di<br />

esclusione sociale.<br />

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