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l’alternativa alle politiche neoliberiste messe in campo nei Paesi europei maggiormente colpiti da crisi e<br />

politiche di austerità. Questi contributi costituiscono quindi una risorsa importante per chi impegnato<br />

a indagare le forme di resistenza e comunità che si sono venute a creare in contesti materiali di forte<br />

deprivazione del Nord globale, arricchendo il dibattito internazionale ed evidenziando possibilità e criticità<br />

delle esperienze analizzate.<br />

Il contributo di Daniela Festa fornisce le coordinate chiave per orientarsi nel dibattito recente sul<br />

ruolo centrale dei commons urbani in seno al trionfo della razionalità neoliberista, richiamando alcune<br />

esperienze emblematiche nel panorama italiano (Nuovo Cinema Palazzo e Teatro Valle), in grado di<br />

riappropriarsi in maniera critica ed emancipatoria del diritto, contrastando quindi la logica neoliberista<br />

e burocratica delle “regole”.<br />

Nel loro contributo, Belingardi e Pecoriello descrivono quello che si può identificare come “<strong>spazi</strong>o<br />

bene comune” all’interno del tessuto urbano contemporaneo. In particolare viene posto l’accento<br />

sulla multifattorialità della definizione, facendo risaltare il ruolo della comunità e delle regole di uso<br />

nel riconoscimento. Una volta esplicitata l’importanza di questi <strong>spazi</strong>, le autrici si interrogano sulla<br />

possibilità di un regolamento delle pratiche a partire dal confronto tra le due versioni del “Regolamento<br />

sulla collaborazione tra cittadini e amministrazione per la cura e la rigenerazione dei beni comuni<br />

urbani” e dall’esperienza fiorentina del progetto CIVISM.<br />

Il contributo di Cubadda e Tanca si focalizza sugli <strong>spazi</strong> marginali e residuali (locali in disuso, negozi<br />

sfitti) all’interno dei contesti urbani, <strong>spazi</strong> ri-appropriati collettivamente attraverso pratiche informali.<br />

Gli autori definiscono tali <strong>spazi</strong> come “terzi” in quanto si riferiscono ad una situazione di riferimento<br />

mutata ma che tuttavia sussiste. Da tali pratiche di riutilizzo scaturiscono veri e propri commons<br />

urbani “contraddistinti dalla spontaneità della loro produzione: nascono dal basso e sono segnati<br />

dal marchio della collettività che li ha generati e di cui riflettono istanze e rivendicazioni”.<br />

Iovino analizza invece due programmi di rigenerazione urbana a Salerno, entrambi riguardanti il<br />

waterfront. Focalizzandosi sulle forme di proteste e resistenza delle comunità locali all’adozione dei<br />

progetti, il contributo ha lo scopo di interrogare la possibilità per questi movimenti di cambiare il<br />

“senso del luogo”, dando vita a nuovi commons urbani.<br />

Anche il contributo di Reina si focalizza sulla pianificazione, mostrando come la politica sia incapace<br />

di intercettare i bisogni “reali” delle persone in quanto il livello sistemico nel quale si situa, quello<br />

normativo, della produzione di apparati regolativi (livello di cui fa parte la sfera dello Stato, della pubblica<br />

amministrazione, e anche quella del mercato) elabora sue proprie modalità di funzionamento, di<br />

legittimità e di comunicazione, che non hanno più relazione con il livello della vita quotidiana – la<br />

quale produce con continuità senso dentro gli ambiti concreti dove la “gente comune” vive tutti i<br />

giorni le sue esperienze.<br />

Centrato su diversi esempi che caratterizzano la <strong>città</strong> di Atene devastata dalle politiche di austerità<br />

(il parco Navarinou, l’Agros Elliniko e il teatro occupato Embros), il contributo di Volpini e Frixa mostra<br />

come tali <strong>spazi</strong> comuni rappresentino dei siti di scontro politico con le istituzioni e <strong>spazi</strong>alizzazioni<br />

di un nuovo “diritto alla <strong>città</strong>”.<br />

Nel suo contributo, Castronovo analizza l’esperienza delle fabbriche recuperate. La sua analisi<br />

guarda a queste esperienze come “<strong>spazi</strong> del comune”, interrogandosi quindi attorno alla produttività<br />

di una tensione continua e complessa, incompiuta eppure pregnante e significativa, che allude alla possibilità<br />

di costruzione di forme di relazioni irriducibili ed eccedenti al paradigma proprietario attuale,<br />

nella sua versione pubblica o privata, ma di cui va continuamente indagata la materiale ambiguità costitutiva,<br />

proprio per estenderne la comprensione ed individuarne specifiche potenzialità che possano<br />

aprire, ed in qualche modo lo stanno già facendo, processi sociali e politici nuovi.<br />

Il contributo di Ruggiero e Graziano esplora le relazioni tra commoning, politiche di austerità e<br />

produzione culturale attraverso un’analisi comparata di occupazione di <strong>spazi</strong> pubblici a Catania al fine<br />

di indagare, da un lato, le strategie di riappropriazione ispirate agli urban commons e alla democrazia<br />

partecipativa e, dall’altro lato, le relazioni con gli attori istituzionali. Il loro obiettivo è quindi com-<br />

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