22.05.2013 Views

Storia popolare della filosofia - prova-cor

Storia popolare della filosofia - prova-cor

Storia popolare della filosofia - prova-cor

SHOW MORE
SHOW LESS

You also want an ePaper? Increase the reach of your titles

YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.

(mentre per la sensazione è necessaria la presenza del sensibile). 353 L’oggetto sensibile può essere quello<br />

proprio di ciascun senso e quello comune di tutti. 354 Il senso riceve le forme sensibili senza la materia (come<br />

la cera riceve l’impronta dell’anello senza il ferro o l’oro). 355 Il sistema dei sensi è atto a cogliere le<br />

caratteristiche <strong>della</strong> realtà e ogni senso <strong>cor</strong>risponde alle specifiche modalità in cui la realtà si manifesta.<br />

Aristoetele ammette un sensorio comune, oltre ai cinque sensi. L’uomo, così, vede, sente, ecc. , ma anche sente<br />

di vedere e di udire e giudica, ad esempio, che sono diversi il dolce e il bianco: non potrebbe giudicare con<br />

un qualche senso specifico (perché ogni senso avverte solo ciò che è proprio alla sua attitudine, riconosce il<br />

dolce e l’amaro ma non può comparare il dolce al bianco; queste diverse qualità, invece, sono percepite e<br />

distinte da un senso unico, che sia capace di sentirle entrambe e di avvertirle come diverse). 356<br />

Aristotele si sofferma, quindi, sul passaggio dal senso al pensiero. E’ evidente che sentire e pensare<br />

(riflettere) sono attività diverse e, dunque, si riconducono a facoltà differenti. Di sentire sono capaci tutti gli<br />

animali; invece solo pochi hanno la facoltà di riflettere (pensare e ragionare). La sensazione è sempre vera e<br />

appartiene a tutti gli animali; invece il pensare è passibile anche di errore e appartiene solo a chi è fornito di<br />

ragione. 357 Il passaggio dalla sensazione al pensiero avviene attraverso l’immaginazione. Questa non può<br />

aversi senza quella, e così la concezione (il pensare attraverso concetti) non può aversi senza l’immaginazione.<br />

Essa può aversi solo delle cose di cui si dà sensazione. 358<br />

Aristotele mette in rilievo l’autocoscienza come propria dell’uomo, in modo che l’esistere umano significa<br />

fondamentalmente sentire e pensare di esistere. L’uomo, cioè, vede e sente che vede, ode e avverte di udire,<br />

cammina ed è cosciente (consapevole) di camminare; di ogni atto che egli compie ha immediata coscienza:<br />

sicché “sentiamo di sentire e pensiamo di pensare”. 359 L’autocoscienza è condizione di sintesi conoscitiva, di<br />

confronto tra atti diversi, dunque di unità sintetica di questi atti. 360<br />

Si esaminano, quindi, i caratteri <strong>della</strong> facoltà intellettiva. Come il senso riceve un’azione da parte<br />

dell’oggetto sensibile, così l’intelletto deve ricevere un influsso da parte dell’oggetto intelligibile (o di<br />

alcunché di simile). Oc<strong>cor</strong>re, cioè, che l’intelletto sia capace di ricevere l’azione da parte <strong>della</strong> “forma” o<br />

“idea” e che la sua natura sia proprio quella di essere in potenza intellezione, cioè comprensione delle idee. 361<br />

Si può dire che “l’intelletto è in certo modo gli intelligibili in potenza” (e che “non ne è nessuno in atto,<br />

prima di pensarlo”). Perciò l’intelletto è simile alla tavoletta, in cui nulla si trova già scritto in atto (prima che<br />

vi sia scritto); e da questo paragone aristotelico è venuta poi la definizione dell’intelletto come “tabula rasa”.<br />

Ciò induce Aristotele ad ammettere un “intelletto passivo” (fatto per ricevere le idee, l’azione dell’oggetto<br />

intelligibile) e un “intelletto attivo” (fatto per produrre le idee). Questo intelletto è lo stesso intelligibile in atto.<br />

Esso deve essere inteso come sempre in atto, pensiero delle idee. Ma in tale condizione esso è “separato”,<br />

cioè sussistente per sé: quindi deve essere concepito come “immortale ed eterno”, principio di ogni pensiero<br />

e luogo degli intelligibili in atto. Invece l’intelletto passivo è quello finito e mortale, proprio degli<br />

individui. 362<br />

353 De anima, II, 5, 417.<br />

354 “Dico ‘proprio’ quello che non può sentirsi con altro senso, e su cui il senso non può ingannarsi, come la vista<br />

per il colore, l’udito per il suono, il gusto per il sapore […]. Comuni sono il moto e la quiete, il numero, la figura, la<br />

grandezza” (De anima, II, 6, 418). Aristotele dimostra perché non vi possono essere che cinque sensi. Gli oggetti sono<br />

sentiti o attraverso il tatto, cioè per contatto, oppure tramite gli elementi fondamentali (l’aria, l’acqua, la terra, il fuoco).<br />

Poiché tutti i <strong>cor</strong>pi terrestri sono costituiti da questi elementi, i cinque sensi sono sufficienti a soddisfare ogni esigenza<br />

<strong>della</strong> sensazione, cioè a rendere tutti i <strong>cor</strong>pi percepibili rispetto alle loro qualità. Cfr. De anima, III, 1, 425.<br />

355 De anima, II, 12, 424.<br />

356 De anima, III, 2, 426.<br />

357 De anima, III, 3, 427.<br />

358 “Sarà dunque l’immaginazione un moto generato dalla sensazione che è in atto” (De anima, III, 3, 428-29). “E<br />

per la sua persistenza e somiglianza alla sensazione, molte azioni compiono per essa gli animali: gli uni perché non<br />

hanno intelletto, come le bestie, gli altri perché il loro intelletto è talora ottenebrato da passione, o malattie, o sonno,<br />

come gli uomini”.<br />

359 Cfr. Etica Nicomachea, IX, 9, 1170.<br />

360 In tal modo Aristotele scopre e rileva un’importante funzione <strong>della</strong> coscienza (quale sarà poi sottolineata dalla<br />

<strong>filosofia</strong> moderna e specialmente da Kant).<br />

361 Perciò, “ha ragione chi dice che l’anima è il luogo delle idee, purché s’intenda non l’anima intiera, ma solo<br />

l’intellettiva; e non di idee in atto, ma in potenza” (De anima, III, 4, 429).<br />

362 “Resta dunque che solo l’intelletto (attivo) venga dal di fuori e solo esso sia divino; perché l’atto <strong>cor</strong>poreo non<br />

partecipa affatto dell’atto di esso” (DE gen. animal., III, 3, 736).

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!