Storia popolare della filosofia - prova-cor
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Il fondatore <strong>della</strong> scuola cirenaica fu Aristippo di Cirene. Dopo di lui, la scuola si divise in tre indirizzi con<br />
Teodoro l’ateo, Eresia il “persuasor di morte” e Anniceris.<br />
Nella teoria <strong>della</strong> conoscenza, i pirenaici sostenevano il sensismo e il fenomenismo. 118 Ne deriva che non<br />
si può parlare di nozioni comuni per i diversi soggetti, in quanto per ognuno sono valide le proprie<br />
sensazioni. I nomi indicano solo sensazioni simili.<br />
La sensazione, oltre che criterio di verità, è anche criterio di comportamento e di valutazione etica e pratica. 119<br />
Aristippo distingueva tre stati del soggetto: 1) lo stato di dolore, simile alla tempesta del mare (l’animo è<br />
agitato e scosso); 2) il piacere (che è un movimento lieve, simile a un venticello favorevole); 3) l’assenza di<br />
piacere e dolore, simile alla calma del mare. Egli quindi diceva che la sensazione piacevole è il fine <strong>della</strong> vita<br />
e che in essa consiste la felicità. Il piacere sarebbe la condizione naturale degli uomini: infatti sempre noi<br />
istintivamente tendiamo ad esso, mentre fuggiamo il dolore. Inoltre, a quanto riferisce Diogene Laerzio, il<br />
piacere particolare è per se stesso desiderabile, mentre la felicità, che consiste in un sistema di piaceri<br />
particolari, è desiderabile non per se stessa ma per quei piaceri. 120 Né ha valore il ri<strong>cor</strong>do dei piaceri passati<br />
oppure l’anticipazione di quelli futuri: ma solo il piacere attuale può considerarsi vero. Ne deriva che non<br />
bisogna tormentarsi col rimpianto (del passato) né con la speranza (del futuro), ma oc<strong>cor</strong>re cogliere l’“attimo<br />
fuggente” (carpe diem).<br />
Connesso all’edonismo risulta un fondamentale utilitarismo: la ricerca del piacere, infatti, implica il<br />
riconoscimento <strong>della</strong> previdenza calcolatrice e dei mezzi atti al suo conseguimento. Asd esempio, è errore<br />
avversare le cause spiacevoli di eventi piacevoli: così la ricchezza, che per se stessa non è desiderabile, è<br />
positiva in quanto può produrre piacere.<br />
I cirenaici ammettevano che nella mente è il fondamento dei piaceri spirituali (ad esempio ascoltiamo con<br />
piacere i lamenti degli attori).<br />
La regola <strong>della</strong> vita consiste nel “dominare il piacere e non lasciarsene dominare” 121 ; con l’avvertenza che<br />
“domina il piacere non chi se ne astenga, ma chi ne usa, senza lasciarsene trascinare”, 122<br />
La scuola pirenaica, dopo Aristippo e i suoi immediati successori (suo figlio Arete e suo nipote Aristippo il<br />
Giovane), ebbe tre diramazioni diverse. La prima è quella rappresentata da Deodoro l’ateo, secondo il quale<br />
il fine è la felicità e non il piacere. E la felicità consisterebbe nella prudenza e nella giustizia, nella saggezza<br />
che consente l’indipendenza, il bastare a se stessi senza avere bisogno di amici. Teodoro affermava, inoltre, il<br />
cosmopolitismo. 123 Egli professava anche un ateismo integrale, sostenendo che le varie credenze religiose<br />
non sono altro che espedienti cui ri<strong>cor</strong>rono gli uomini incapaci di realizzare il dominio di se stessi. 124<br />
Una seconda diramazione è quella rappresentata da Eresia “il persuaso di morte”, detto così per la<br />
concezione pessimistica <strong>della</strong> vita. La felicità sarebbe assolutamente impossibile, perché è impossibile evitare<br />
118 “Dicono dunque i cirenaici che criterio di verità sono le sensazioni, e che solo queste si colgono e sono vere; ma<br />
degli oggetti che producono le sensazioni nessuno ce n’è che si possa cogliere [nel senso di comprendere, afferrare con<br />
l’intelligenza, tradurre in concetto] e che sia esente da inganno” (Sesto Empirico, Adv. Mathem., VII, 191-95). Perciò<br />
“se per fenomeni (ciò che appare) intendiamo le nostre impressioni, tutti i fenomeni si devono considerare veri in quanto<br />
percepiti; ma se chiamiamo fenomeni le cause produttrici delle impressioni, tutti i fenomeni sono fallaci e impossibili a<br />
cogliere” (Ib.). Secondo questa teoria, gli oggetti sono ridotti a gruppi di sensazioni. In ultima analisi, la realtà consiste<br />
in una molteplicità di relazioni, secondo l’insegnamento di Protagora e dei suoi discepoli, i quali già avvertivano che<br />
ogni cosa è sempre in relazione con qualche altra, giacché “nulla è per se steso una cosa, ma sempre si genera in<br />
relazione a qualcosa” (Platone, Teeteto, 156-57). In questo senso, né l’agente è qualcosa prima d’incontrasi col<br />
paziente, né questo prima d’incontrarsi con quello; analogamente si dice che un ente è in movimento in relazione a un<br />
altro che sta fermo, e così via. Tutto è movimento e relatività e fenomeno.<br />
119 “Le sensazioni sono dunque criteri e fini di tutte le cose: viviamo seguendole, cercando l’evidenza e il<br />
soddisfacimento: l’evidenza nelle altre sensazioni, il soddisfacimento nel piacere” (Sesto Empirico, Adv. Mathem., VII,<br />
199).<br />
120 Diogene Laerzio, II, 87-88.<br />
121 Diogene Laerzio, II, 75.<br />
122 Stobeo, Flor., 17, 18. Perciò Orazio dice: “Ora torno ai precetti di Aristippo, e mi sforzo di sottomettere le cose a<br />
me, non me alle cose” (Epistulae, I, 1, 18). Condizione prima è il dominio delle circostanze esteriori, cioè la libertà del<br />
soggetto rispetto agli altri individui e alle cose (e che – come riferisce Senofonte, Memor., II, 1 – consiste in una via di<br />
mezzo tra il comandare e l’ubbidire). Ma Platone obiettava: “Codesti temperanti non si trovano forse in questa<br />
condizione: che sono temperanti per intemperanza? Giacché per paura di privarsi di altri piaceri e per desiderio di<br />
averli, si astengono da taluni, dominanti come sono da quegli altri. E mentre chiamano intemperanza il lasciarsi<br />
dominare dai piaceri, in realtà accade che dominano alcuni piaceri perché sono dominati da altri” (Fedone, 68-69).<br />
123 Diogene Laerzio, II, 98, 99.<br />
124 Discepolo di Teodoro è stato Evemero, famoso per la tesi secondo cui le religioni avrebbero avuto origine da<br />
uomini illustri e potenti che si sarebbero attribuiti natura e prerogative divine.