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Storia popolare della filosofia - prova-cor

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l’esperienza del dispiegamento delle virtù civili, deve vivere la vita <strong>della</strong> sua comunità, per elevarsi a un<br />

livello di approfondimento interiore <strong>della</strong> vita spirituale. 572<br />

Plotino pone l’amore per la bellezza, cioè l’atteggiamento contemplativo verso gli aspetti dell’universo,<br />

come il primo gradino di esperienza interiore che incomincia a liberare lo spirito dai legami col mondo,<br />

inducendolo a riguardare le cose sub specie aeternitatis. L’arte consente questo tipo di contemplazione. Il<br />

soggetto ha l’esperienza <strong>della</strong> rivelazione delle idee nelle forme sensibili. Il mondo immutabile risplende<br />

nella luce delle forme create dall’arte.<br />

La conoscenza filosofica rappresenta, poi, il momento culminante dell’elevazione spirituale. La <strong>filosofia</strong> è<br />

conoscenza delle idee non più attraverso le immagini sensibili, ma sul piano <strong>della</strong> comprensione logica e<br />

concettuale. L’estasi, infine, rappresenta l’oltrepassamento del sapere concettuale, l’esperienza intellettuale in<br />

cui la visione delle idee si converte nella visione del Tutto. Ma si tratta di un’esperienza inesprimibile, che<br />

solo è vissuta e non ammette mediazioni di sorta. La visione, il pensiero, la vita stessa si fondono,<br />

trasfigurandosi: l’individuo si congiunge all’infinito Uno e così supera la finitezza e colma il distacco che lo<br />

separa dal Tutto.<br />

Plotino, nel momento in cui riassume i principali motivi <strong>della</strong> <strong>filosofia</strong> greca, dà luogo a una concezione<br />

nuova, a una prospettiva ontologica in cui è superato il tradizionale realismo ed è adottato il vero e proprio<br />

punto di vista <strong>della</strong> fenomenologia <strong>della</strong> vita spirituale. L’intera realtà si risolve in un processo spirituale, di<br />

cui protagonista è l’Uno, in quanto principio del reale, che si esplica essenzialmente come intelligenza e<br />

razionalità. In quanto espressione di attività intelligente, il reale è razionale e costituisce un ordine logico<br />

perfettamente coerente. In questo senso, il pensiero e l’essere coincidono e il reale non è altro rispetto al suo<br />

manifestarsi: il reale, cioè, coincide col processo di manifestazione di sé. Tutto ciò che esiste <strong>cor</strong>risponde a<br />

modalità di manifestarsi del principio, cioè a modalità dell’attività spirituale. L’uomo vive all’interno di<br />

questo processo di manifestazione; e la sua attività di soggetto consiste nel fatto che egli è parte attiva di<br />

questo processo. La prospettiva di considerazione <strong>della</strong> realtà muta rispetto alla tradizione: non si tratta di<br />

considerare gli enti già costituiti in un mondo dato, bensì i processi spirituali attraverso i quali essi si<br />

manifestano e così anche vengono alla realtà. Il piano <strong>della</strong> costituzione (attraverso la dinamica spirituale) e<br />

quello <strong>della</strong> manifestazione (sul piano del pensiero) coincidono. Comprendendo le cose, l’uomo restituisce<br />

572 L’acquisizione delle virtù civili costituisce il primo gradino nel processo di ritorno all’Uno; e la fuga dal mondo<br />

di cui parla Plotino ha questo significato, di manifestare lo stato dello spirito che intende farsi “simile a Dio”. D’altra<br />

parte, questa stessa somiglianza va intesa nel modo proprio dell’uomo, dunque dal punto di vista delle virtù, di<br />

quell’“ordine, proporzione e ac<strong>cor</strong>do” che caratterizza la vita nel mondo e di cui, invece, Dio non ha bisogno, essendo<br />

egli stesso fonte e principio di ogni ordine. Dice Plotino: “[Poiché] necessariamente i mali esistono quaggiù e<br />

s’aggirano intorno a questi luoghi terreni, [e poiché l’anima vuole fuggire i mali], bisogna figgire di qui. Che cos’è<br />

questa fuga? ‘Diventare simili a Dio’ dice [Platone, Teet., 176 a-b]. E noi otterremo questo, se mediante la prudenza e in<br />

generale con la virtù, diventeremo giusti e pii. E’ chiaro che Dio possiede delle virtù, anche se non le stesse [che noi].<br />

Se dunque si concede che possiamo rassomigliare a Dio, avendo noi, pur essendo altrimenti riguardo alle altre virtù,<br />

quelle civili, che non sono simili a quelle di Dio, nulla impedisce che noi diventiamo uguali a lui con le nostre virtù<br />

proprie, anche se egli non ne possiede. In che modo? Così: se qualche cosa è riscaldata dalla presenza del calore, è<br />

necessario che anche ciò da cui viene il calore sia riscaldato? E se qualche cosa è riscaldata dalla presenza del fuoco, è<br />

necessario che il fuoco sia riscaldato dalla presenza del fuoco? Si potrà rispondere che anche nel fuoco c’è un calore,<br />

ma un calore inerente: così possiamo dire, per analogia, che la virtù nell’anima è qualche cosa di acquisito, mentre è<br />

inerente nell’essere dal quale [l’anima], imitandolo, lo trae in suo possesso. Ma come nell’argomento del fuoco, si dirà<br />

che quest’essere è la virtù stessa; lo giudichiamo infatti superiore alla virtù. E se [la virtù] <strong>della</strong> quale l’anima partecipa<br />

fosse identica al suo principio, si potrebbe anche dire così; ma la virtù è una cosa e quel principio è un’altra. La cosa<br />

sensibile non è uguale a quella ideale, benché le assomigli; La cosa sensibile partecipa di ordine e di proporzione,<br />

mentre nel pensiero non c’è ordine né proporzione né simmetria. E così noi partecipiamo dell’ordine, <strong>della</strong> proporzione<br />

e dell’ac<strong>cor</strong>do dal mondo intelligibile, da cui pur deriva la virtù di quaggiù; ma gli esseri intelligibili non hanno bisogno<br />

di ac<strong>cor</strong>do, di ordine, di proporzione, né la virtù ha per lo alcuna utilità; nondimeno noi rassomigliamo ad essi per la<br />

presenza <strong>della</strong> virtù. Se noi, dunque, ci rendiamo simili ad essi, non è necessario che la virtù risieda in questi” (I, II, 19).<br />

Le virtù civili ci rendono simili a Dio in quanto “instaurano veramente un ordine in noi e ci fanno migliori, perché<br />

impongono limite e misura ai nostri desideri e a tutte le passioni e ci liberano dagli errori: un essere infatti diventa<br />

migliore perché, sottomesso alla misura, esce dal dominio dell’indefinito e dell’illimitato”. Le virtù con<strong>cor</strong>rono a<br />

definire la forma propria dell’uomo, che, in quanto essere <strong>cor</strong>poreo, sta unito anche con la materia, che è principio di<br />

illimitatezza. "Difatti ciò che è del tutto privo di misura è la materia che in nessun modo diventa simile [a Dio]; ma più<br />

[un ente] partecipa <strong>della</strong> forma, più assomiglia [a Dio]” (ib.). Le virtù civili sono un primo gradino nel processo di<br />

attuazione <strong>della</strong> vera natura umana (che è somigliante a quella divina); ma le virtù che attuano pienamente questa natura<br />

sono quelle che portano l’anima a una completa liberazione dai legami <strong>cor</strong>porei, cioè quelle che possono chiamarsi<br />

“purificazioni” (καθαρσειH) e che dispongono lo spirito alla contemplazione dell’intelligibile.

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