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Storia popolare della filosofia - prova-cor

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Quest’ultimo non può mai venire ricondotto (ridotto) a quella. Dunque l’ente pensato non può essere<br />

comunicato.<br />

La critica di Gorgia coglie nel segno e mette in rilievo tutte le difficoltà <strong>della</strong> metafisica basata<br />

specialmente sul principio parmenideo dell’unità dell’essere e sull’identità di essere e pensiero. Questi,<br />

infatti, erano i capisaldi <strong>della</strong> metafisica. Una scienza dell’essere, infatti, presuppone, innanzitutto, l’unità del<br />

reale e la negazione di ogni molteplicità all’interno del principio; e d’altra parte presuppone la pensabilità<br />

piena dell’essere, l’intelligibilità di ogni esistenza. Gorgia intende dimostrare che in realtà la metafisica esula<br />

dalle possibilità del pensiero umano. Infatti noi possiamo dimostrare coi mezzi <strong>della</strong> logica sia l’essere che il<br />

non essere. Il nostro pensiero è molteplice e perciò di natura opposta a quell’essere unico che dovrebbe<br />

dimostrare. Non rimane che affidarsi ai poteri <strong>della</strong> mente, che non sono, peraltro, quelli che riguardano la<br />

sola sfera logica, bensì si estendono al potere irrazionale <strong>della</strong> parola stessa. La metafisica, in questo senso,<br />

sarebbe possibile su questo piano più propriamente artistico ed estetico che riguarda la comunicazione di<br />

emozioni, di stati d’animo, di sentimenti. A tale livello Gorgia riconosce quasi un’intersezione con il potere<br />

<strong>della</strong> parola divina. La parola diventa annuncio, profezia, rivelazione: qualcosa che ha a che fare con la sua<br />

dimensione misteriosa. Gorgia, nel momento in cui affermava l’efficacia pratica <strong>della</strong> retorica (considerata<br />

come la vera molla dell’azione), metteva in rilievo i limiti <strong>della</strong> parola umana e lasciava intravedere i confini<br />

per i quali, nell’ambito <strong>della</strong> parola stessa, passano la natura umana e quella divina. Sembra che in questo<br />

senso vada letta la dottrina di Gorgia sulla verità. Questa sarebbe possibile solo sulla base <strong>della</strong> verifica del<br />

pensiero umano mediante la parola <strong>della</strong> divinità.<br />

Natura e convenzione nei Sofisti minori: Callicle, Ippia, Antifonte, Prodico.<br />

Il dibattito nell’ambiente dei Sofisti ha riguardato specialmente il modo di concepire i principi dell’ordine sociale: per<br />

Trasimaco e Callicle la legge dipende dalla capacità di imporla e dunque dal “più forte”, per Ippia e Antifonte dipende<br />

dai caratteri universali <strong>della</strong> natura umana.<br />

Contro le tendenze relativistiche di Protagora e Gorgia, altri Sofisti affermano l’esistenza di un criterio<br />

assoluto, giuridico e morale, coincidente con una legge di natura, universale e non soggetta a variazioni.<br />

Questa legge si identifica col diritto del più forte (e quest’ultimo è la classe dominante per Trasimaco, il<br />

superuomo audace e tiranno per Callicle) oppure si esprime come principio di eguaglianza e fratellanza<br />

umana, al di sopra delle differenze di nazione e di classe (Ippia e Antifonte).<br />

Nella seconda metà del V secolo, in seguito agli sviluppi concettuali messi in atto dalla prima generazione<br />

dei Sofisti, si articola la discussione intorno al primato <strong>della</strong> natura o <strong>della</strong> legge nell’ambito <strong>della</strong><br />

convivenza umana. Il motivo fondamentale è la scoperta del valore autonomo dell’individuo per se stesso,<br />

indipendentemente dallo spazio pubblico <strong>della</strong> vita politica.<br />

Secondo la prospettiva tradizionale, l’uomo si attua nello spazio politico (nello stato) e specialmente<br />

attraverso azioni degne di memoria. La riflessione dei Sofisti conduce alla scoperta <strong>della</strong> “natura” dell’uomo<br />

come condizione originaria, anteriore alla costituzione <strong>della</strong> “città”.<br />

Dunque, qual è questa “natura” dell’uomo?E che rapporto si stabilisce tra i diritti connessi a tale natura e i<br />

doveri civili, imposti dalla vita politica e dall’organizzazione sociale? Inoltre: come rifondare i principi <strong>della</strong><br />

convivenza politica, in riferimento a questa condizione naturale? Forse oc<strong>cor</strong>re mettere in discussione la<br />

stessa validità <strong>della</strong> legge politica, come contraria alla natura dell’uomo? L’indagine si allarga fino a<br />

riguardare l’origine storica dello stato e lo sviluppo delle forme di vita politica.<br />

Intorno a questi problemi i Sofisti danno soluzioni diverse.<br />

1) Secondo Protagora, allo stato naturale gli uomini sono stati dotati solo di capacità “tecniche”; dunque<br />

incapaci di organizzare una efficace vita comune; infatti, fuori di un contesto politico, basato sul<br />

riconoscimento dei diritti reciproci, l’uso di quelle capacità è inefficace. Gli uomini, perciò, si sono associati,<br />

mettendo reciprocamente a disposizione le capacità specifiche (ed è Zeus che per salvare gli uomini concede<br />

loro le “virtù politiche”); e in tal modo attuano una condizione di vita ottimale. 102<br />

2) Secondo Trasimaco, la giustizia è basata sulla legge stabilita dalla classe dominante per il bene<br />

comune. 103<br />

3) Secondo Ippia, invece, la giustizia sta nella condizione naturale, che è condizione di uguaglianza tra gli<br />

uomini. 104<br />

102 Protagora, 323-26.<br />

103 “Io affermo che il giusto non è altro che l’utile del più forte […] ciò che conviene al governo costituito” (Rep.,<br />

338).

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