Storia popolare della filosofia - prova-cor
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popolo: in nome del popolo esercita un potere assoluto, in realtà assecondando i propri impulsi e per<br />
affermare la sua volontà di potenza per lo più attua una politica bellicosa, provocando continue guerre.<br />
Infine il tiranno finisce per attirare su di sé l’odio dei cittadini; e così ha bisogno di circondarsi sempre di più<br />
di guardie del <strong>cor</strong>po, basando il suo potere sulla violenza. Il tiranno finisce per vivere una vita piena di<br />
tormenti e di paure, di sospetti e ansie continue. E questa è la peggiore condizione per la comunità.<br />
Infine (nelle Leggi) Platone mostra di preferire una forma mista di monarchia e democrazia. 180<br />
Il secondo Platone<br />
Come è noto, Platone, nei dialoghi dialettici, sottopose a revisione critica il suo “sistema” filosofico,<br />
elaborato nei grandi dialoghi <strong>della</strong> prima maturità. Attraverso tale processo di revisione, egli finì per<br />
elaborare un pensiero del tutto nuovo, tale da poterci consentire di parlare di un secondo Platone, diverso da<br />
quello che generalmente conosciamo come il Platone classico, il cui pensiero sta alla base di una lunga e<br />
consolidata tradizione. 181<br />
Richiamiamo brevemente i temi fondamentali di questo pensiero, in cui tradizionalmente si identifica il<br />
platonismo. Alla base di questa <strong>filosofia</strong> vi è la dottrina delle idee: le idee sono concepite come entità metafisiche,<br />
modelli eterni degli enti sensibili e oggetto <strong>della</strong> conoscenza filosofica. Le idee, infatti, che non mutano e non<br />
appartengono all’universo fisico, ma hanno una pura consistenza logica e ideale (costituiscono il mondo delle<br />
idee), non possono essere conosciute attraverso l’esperienza, bensì costituiscono il termine di una conoscenza<br />
che non è altro che reminiscenza di un possesso originario, di cui è dotata l’intelligenza (l’anima razionale).<br />
Le idee, che sono l’impalcatura logico-razionale dell’essere nelle sue determinazioni, hanno, secondo questa<br />
dottrina, una realtà propria, separata da quella degli enti sensibili, dei quali costituiscono i modelli perfetti (il<br />
ma ne tengono il più per sé […]. Or dunque un capopopolo che mandi in esilio o metta a morte […] è ben fatale<br />
necessità che o sia ucciso dai nemici o si faccia tiranno e, da uomo, lupo […]” (Rep., VIII, 563-67).<br />
180 “Non bisogna costituire poteri grandi e non misti […]. Dunque bisogna che (lo stato) partecipi di ambedue questi<br />
(poteri, quello monarchico e quello democratico), se vi deve essere libertà e con<strong>cor</strong>dia con saggezza. Lo stato che abbia<br />
amato il principio monarchico e quello di libertà più che l’uno o l’altro da solo non ha temuto né l’uno né l’altro, con<br />
giusta misura” (Leggi, III, 693).<br />
181 Cfr. Giovanni Reale, Per una nuova interpretazione di Platone, Vita e Pensiero, Milano 1991. Reale si propone<br />
di presentare il pensiero di Platone come un sistema organico, utilizzando anche le dottrine non scritte. Egli, in primo<br />
luogo, cerca di uscire dal paradigma dominante, che è quello canonizzato dallo Schleiermacher e che si basa<br />
sull’enucleazione del pensiero platonico esclusivamente dai dialoghi, senza tenere conto <strong>della</strong> tradizione indiretta.<br />
Questo paradigma, in effetti, risulta ora inadeguato, dato che si è venuto sempre meglio definendo l’importanza di<br />
questa tradizione. In questo senso, oggi risulta maggiormente rispondente all’esigenza di una ricostruzione totale del<br />
pensiero di Platone il paradigma elaborato dalla Scuola di Tubinga, che, appunto, ha il pregio di consentire di<br />
inquadrare nella complessiva <strong>filosofia</strong> platonica anche gli elementi propri <strong>della</strong> tradizione non scritta.<br />
Questo paradigma, precisato dal Gadamer, si collega alla tradizione dell’Antica Accademia, quale ci è attestata dai<br />
discepoli diretti di Platone, cioè da Aristotele, Speusippo e Senocrate.<br />
Spetta ad Aristotele la testimonianza intorno a quella forma di metafisica platonica che si basa sui “princìpi” primi,<br />
l’Uno e la Diade illimitata, e secondo cui le Idee deriverebbero da questi princìpi, assunti come la causa formale e la<br />
causa materiale di esse. Scrive, infatti, Aristotele: “Risulta chiaro che Platone ha fatto uso di due sole cause: di quella<br />
formale e di quella materiale. Infatti le Idee sono cause formali delle altre cose, e l’Uno è causa formale delle Idee. E<br />
alla domanda quale sia la materia avente funzione di sostrato, di cui si predicano le Idee nell’ambito dei sensibili, e di<br />
cui si predica l’Uno nell’ambito delle Idee, egli risponde che è la Diade, cioè il grande-e-piccolo” (Metafisica, A 6, 988<br />
a 9-14). Aristotele ci testimonia, inoltre, che Platone ammetteva, come realtà intermedie tra le Idee e gli enti sensibili,<br />
gli enti matematici, e che considerava i numeri ideali come causa e sostanza di tutte le cose, ponendoli come diretta<br />
espressione dei princìpi. Il sistema platonico, in questo modo, si reggerebbe essenzialmente sulla tradizione non scritta.<br />
Speusippo sposta al primo posto (immediatamente dopo i princìpi) gli enti matematici e colloca le Idee e i numeri<br />
ideali dopo di essi. I princìpi assumevano la configurazione di Uno e Molti (Unità e Molteplicità). In questo modo, la<br />
metafisica di Platone sarebbe quella fondata sulla dottrina dei princìpi, che non troviamo nei dialoghi, ma è attestata da<br />
Aristotele e dagli altri discepoli diretti di Platone.<br />
I neoplatonici hanno elaborato un altro paradigma, in gran parte ispirato a una interpretazione teologica del<br />
platonismo. Qui l’accento è posto sulla struttura gerarchica <strong>della</strong> realtà sovrasensibile, che è articolata nei tre momenti<br />
del Primo Intelletto, del Secondo Intelletto, dell’Anima del Mondo; e il fine dell’uomo è identificato con l’ascesa e<br />
l’assimilazione al Primo Intelletto (a Dio stesso).