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Storia popolare della filosofia - prova-cor

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Lachete. Socrate è il maestro impareggiabile: ma in quale senso egli è “maestro”? I personaggi di questo<br />

dialogo sono Nicia (che allora aveva il potere politico nella città) e il suo amico Lachete. Essi si lamentano<br />

che i loro padri (Aristide, Tucidide) non abbiano saputo educarli. Ora cercano un educatore per i loro figli e<br />

parlano a questo proposito di un maestro di scherma che pensano potrebbe essere adatto. Interviene Socrate<br />

osservando che non si deve fare consistere l’educazione con l’insegnamento di particolari tecniche, poiché la<br />

formazione <strong>della</strong> persona implica l’impegno di un processo totale, per cui l’educatore deve essere un vero<br />

conoscitore dell’anima. L’educazione è specialmente svolgimento interiore nel senso dell’acquisizione <strong>della</strong><br />

virtù. Bisogna dunque vedere in che consiste la virtù. Ammesso che l’educatore sia uomo d’arme, egli<br />

conoscerà una parte <strong>della</strong> virtù, il <strong>cor</strong>aggio. Ma bisogna chiedersi cos’è il <strong>cor</strong>aggio. Interviene Nicia, dicendo<br />

che, come la virtù consiste nella conoscenza, anche il <strong>cor</strong>aggio sarà conoscenza, precisamente la conoscenza<br />

di ciò che si deve temere e di ciò che non si deve temere. E’ una conoscenza parziale, dunque, che non<br />

abbraccia una totalità; non è vera conoscenza. Il dialogo si conclude con l’osservazione socratica che<br />

l’educazione riguarda la totalità dell’individuo e che il presupposto per poterla mettere in atto è la conoscenza <strong>della</strong><br />

virtù nella sua unità e totalità.<br />

Carmide. Socrate ritorna ad Atene dall’assedio invernale di Potidea (431-430) e va ai luoghi consueti ove<br />

soleva intrecciare le sue conversazioni; entra in una palestra e gli viene incontro Cherefonte, che lo conduce<br />

dinnanzi a Crizia e altri amici, i quali lo interrogano sulle vicende dell’ultima sanguinosa battaglia. Socrate<br />

risponde e poi domanda “quale sia attualmente la condizione <strong>della</strong> <strong>filosofia</strong> e dei giovani: se alcuni tra loro<br />

si siano distinti particolarmente per sapienza e per bellezza o per entrambe le cose insieme”. Questa<br />

connessione di sapienza e bellezza è il motivo intorno al quale si svolge il dialogo. Per la bellezza si<br />

distingue, ad esempio, Carmide (zio di Platone), il quale sembra anche “cresciuto nell’anima”. In lui, cioè, la<br />

bellezza del <strong>cor</strong>po si fonde con la virtù. La bellezza <strong>cor</strong>porea è qui inserita nel processo del filosofare. Che<br />

rapporto ha essa con la ricerca <strong>della</strong> verità? Bisogna considerare la verità come calata nella forma delle cose.<br />

In quanto belle, le cose sono manifestazioni <strong>cor</strong>poree <strong>della</strong> verità. Dalla contemplazione <strong>della</strong> bellezza,<br />

l’anima spicca il suo volo dialettico verso le idee e attua la conoscenza. Ma l’oggetto <strong>della</strong> conoscenza (in<br />

quanto saggezza, assennatezza) è il bene. Così è chiarito il nesso tra bellezza e virtù. Carmide è in qualche<br />

modo il simbolo dell’unità di bellezza e verità, di forma e realtà, di saggezza e virtù.<br />

Liside. Questo dialogo è dedicato all’amicizia e si svolge tra quattro interlocutori e Socrate: Ctesippo e<br />

Ippotale sono i giovani innamorati, Liside e Menesseno i due fanciulli. Socrate, partendo da quella passione<br />

erotica, spiega il significato dell’amicizia. Il fondamento dell’amicizia è posto qui nell’avvertimento di una<br />

mancanza che si tende a colmare. Poiché l’anima è aspirazione al bene, essa è spinta da Eros verso ciò che<br />

an<strong>cor</strong>a non possiede. E questa spinta si rivolge in primo luogo verso qualcuno in cui si cerca ciò che non si<br />

ha. L’amicizia, dunque, è il completamento di una deficienza, l’appagamento di un’aspirazione: colui che<br />

cerca il bene e ne s<strong>cor</strong>ge i riflessi in un altro allora tende verso di questo con un trasporto di amore/amicizia,<br />

per partecipare egli stesso a quel bene che vede nell’altro. Infatti l’amicizia instaura un rapporto di<br />

comunione, per cui ciò che è dell’altro chi ama sente come proprio. E’ preannunciato qui il mito di<br />

Aristofane nel Convito.<br />

Eutifrone. Eutifrone è sacerdote e indovino, che però predice una cosa che si mostrerà falsa: il buon esito<br />

del processo contro Socrate. Qui si ricerca l’essenza <strong>della</strong> religiosità. La religiosità, spiega Socrate, non è una<br />

virtù autonoma, perché fa parte <strong>della</strong> giustizia. Virtù autonome rimangono le quattro classiche virtù<br />

platoniche: sapienza, giustizia, temperanza, <strong>cor</strong>aggio. Eutifrone afferma che è religioso ciò che è caro agli<br />

dèi. Ma prima bisogna vedere se ciò che è caro agli dèi è giusto; se è giusto si può dire che è caro agli dèi. La<br />

religiosità non è il culto esteriore, l’offerta delle vittime, ma la conoscenza del bene e l’esercizio <strong>della</strong> virtù.<br />

Contro la religione tradizionale e il vecchio culto degli dèi, Socrate propugna qui un nuovo ordine <strong>della</strong> fede<br />

religiosa, compreso nell’unità <strong>della</strong> giustizia che coincide con lo stesso ordine cosmico. Religioso è solo ciò<br />

che si ac<strong>cor</strong>da con tale ordine, ciò che rientra nei confini <strong>della</strong> giustizia.<br />

Protagora. Ippocrate si reca da Socrate perché vuole essere presentato a Protagora, che intende scegliere<br />

come maestro di sofistica. Socrate invece vuole accendere in Ippocrate un’ansia nuova e lo fa discutendo con<br />

Protagora, in modo da fare risaltare l’inutilità dell’insegnamento dei sofisti. Socrate e Ippocrate vanno a<br />

trovare il celebre sofista nella casa del ricco Callia, dove Protagora tiene i suoi dis<strong>cor</strong>si a una schiera di<br />

ammiratori. Il dialogo è interessante in quanto espone alcune tesi fondamentali del sofista e con<strong>cor</strong>re a<br />

chiarire punti altrimenti problematici. Un primo chiarimento riguarda la concezione protagorea del<br />

“dis<strong>cor</strong>so migliore”, che va perseguito in confronto dell’opposto “dis<strong>cor</strong>so peggiore”. Dunque si conferma il<br />

relativismo (espresso nella celebre proposizione dell’uomo misura di tutte le cose), con l’esclusione di un<br />

dis<strong>cor</strong>so (“logos”) proprio <strong>della</strong> conoscenza vera. Non esiste una via per raggiungere e per esporre la verità:<br />

esistono dis<strong>cor</strong>si più o meno persuasivi; e quelli che meglio persuadono e convincono sono quelli preferibili,<br />

poiché si tratta di esercitare un influsso nella vita <strong>della</strong> città, convincendo i cittadini a scegliere ciò che risulta

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