Storia popolare della filosofia - prova-cor
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L’intelletto come tale è impassibile, cioè tale da non essere <strong>cor</strong>ruttibile. Il pensare si esaurisce non per la<br />
<strong>cor</strong>ruzione dell’intelletto, ma per la decadenza dell’organismo al quale esso si appoggia. 363<br />
Rimane da esaminare la facoltà motrice. Il principio motore si identifica con l’appetito e con l’intelletto<br />
pratico. L’appetito è il movimento dell’anima verso ciò che è vantaggioso alla vita e allo sviluppo dell’attività<br />
dell’anima stessa. In rapporto alla sensazione piacevole o dolorosa, l’anima si rivolge verso l’oggetto che<br />
provoca il piacere e fugge da quello che provoca il dolore. A ciò con<strong>cor</strong>re anche l’intelletto pratico, che<br />
calcola e valuta in vista di qualche fine. L’intelletto considera (in rapporto al fine) l’oggetto dell’appetito, in<br />
modo che si abbia l’azione (determinata dall’impulso dell’appetito e dalla valutazione dell’intelletto pratico).<br />
L’appetibile è il principio del movimento; anche la fantasia e il pensiero sono accompagnati dall’appetito (ad<br />
esempio, dall’appetito di sapere). 364 Negli uomini, che hanno il senso del tempo, la ragione e il desiderio<br />
(appetito) possono essere anche in contrasto, in quanto “l’intelletto comanda di resistere in vista del futuro, il<br />
desiderio in vista del presente”. 365 In tal modo si ha l’azione volontaria. Questa è l’azione che “uno fa tra quelle<br />
che sono in suo potere” e che, perciò, può fare e non fare. 366 La libertà è connessa con la responsabilità: le<br />
azioni conformi a valutazione e deliberazione sono libere e responsabili. Le azioni sono compiute anche in<br />
virtù di abitudini acquisite (di cui, tuttavia, abbiamo la responsabilità). 367<br />
L’etica<br />
L’uomo persegue scopi diversi e svolge attività connesse a tali fini. Ma c’è un fine che riassume il senso di<br />
tutti i fini particolari e costituisce il senso dell’intera attività umana. Questo fine, che noi vogliamo per se stesso (e<br />
che, quindi, costituisce un valore per sé), deve configurarsi, perciò, come “il sommo fra tutti i fini pratici”. 368<br />
Questo bene è la felicità.<br />
Per poter definire in che consiste la felicità come sommo bene per l’uomo, oc<strong>cor</strong>re considerare la natura<br />
propria dell’uomo. Infatti per ogni essere la perfezione consiste nell’attuazione <strong>della</strong> propria natura. E la<br />
natura dell’uomo è quella di “ente dotato di ragione”. “L’opera propria dell’uomo è (dunque) l’attività<br />
dell’anima conforme a ragione e non contrastante con essa”. 369<br />
L’attività dell’intelletto è quella più alta nell’uomo e più propria (quella che propriamente definisce<br />
l’identità dell’uomo e lo distingue dagli altri enti): essa è di carattere contemplativo e contende ad altro fine<br />
esterno, in sé trova il suo stesso piacere, è sufficiente a se stessa e illimitata (per quanto è nei limiti<br />
dell’uomo). Tale attività rimanda a una condizione superiore all’umana, ché non altra può essere l’attività<br />
propria dell’essere divino. Così si può dire che “simile vita sarà superiore all’umana, ché non altra può<br />
essere l’attività propria dell’essere divino. Così si può dire che “simile vita sarà superiore all’umana; ché<br />
363 “Il pensare dis<strong>cor</strong>sivo e l’amare e l’odiare non sono affezioni di esso, ma di colui che lo ha, in quanto lo ha;<br />
perciò anche, distruggendo costui, esso non ri<strong>cor</strong>da e non ama; perché ciò non apparteneva a lui, ma alla comunione<br />
che si è distrutta; l’intelletto invece è forse qualcosa di divino e impassibile” (De anima, I, 4. 408). La dottrina<br />
dell’intelletto attivo ha dato luogo a controverse interpretazioni. Per Alessandro d’Afrodisia, l’intelletto attivo si<br />
identifica col primo motore, mentre l’intelletto passivo è il più alto grado di sviluppo dell’anima individuale (e dunque<br />
mortale); per Averroé anche l’intelletto passivo è parte dell’unico intelletto, che è separato e unico per tutti gli individui.<br />
In entrambi questi commentatori si ha la negazione dell’immortalità dell’anima individuale (immortale è l’intelletto<br />
unico e separato).<br />
364 De anima, III, 10, 433.<br />
365 Ib.<br />
366 Et. Nicom., III, 8, 1110; 1112; V, 8, 1133 : « Delle azioni volontarie talune facciamo per scelta, altre no :per<br />
scelta quelle che abbiamo deliberato, senza scelta quelle che non abbiamo deliberato”. La deliberazione si ha allorché si<br />
valutano le componenti dell’azione, cioè i fini, le condizioni e così via. Più propriamente, essa riguarda non tanto i fini<br />
bensì le cose che consentono il conseguimento di essi (ad esempio, il medico non delibera se deve guarire o no, ma<br />
come guarire). Invece la volontà riguarda il fine (Et. Nicom., III, 3, 1112-13; III, 4, 1113).<br />
367 Et. Nicom., III, 5, 1113-14.<br />
368 Et. Nicom., I, 4, 1095.<br />
369 Et. Nicom., I, 8, 1098. « Ciò infatti che è proprio a ciascuno per natura è per ciascuno la migliore e più dolce cosa.<br />
E per l’uomo dunque [è tale] la vita conforme all’intelletto, poiché questo è soprattutto l’uomo. Questa dunque è la vita<br />
più felice” (Et. Nicom., X, 6, 1177).