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Storia popolare della filosofia - prova-cor

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superiorità dei Romani nell’organizzazione <strong>della</strong> vita civile, senza considerare, poi, l’arte <strong>della</strong> guerra. 522 Per<br />

quanto riguarda l’arte e la scienza ri<strong>cor</strong>da l’indubbia superiorità dei Greci. 523 Ad esempio, presso i Greci era<br />

diffusa tra tutti la cultura musicale ed era considerato ignorante chi non sapesse suonare uno strumento. I<br />

Romani, però, in rapporto allo sviluppo delle istituzioni civili, primeggiarono nell’eloquenza, che presto<br />

ebbe una sua base dottrinale e teorica. 524 Cicerone dichiara, quindi, il suo assunto, che è quello di contribuire<br />

a introdurre la <strong>filosofia</strong> a Roma e di dare alla cultura latina basi teoriche solide. La <strong>filosofia</strong>, infatti, era stata<br />

fino allora trascurata. 525 E per compiere adeguatamente una tale opera era necessario unire l’eloquenza alla<br />

<strong>filosofia</strong>, giacché era necessario non solo conoscere le dottrine dei filosofi e idee proprie, ma bisognava<br />

esporle con proprietà e ordine. In questo senso maestro è stato Aristotele. Ed è un modello che Cicerone<br />

intende seguire. 526 In <strong>filosofia</strong> il metodo migliore è quello socratico, in cui un maestro discute con un<br />

discepolo. Ed è il metodo che Cicerone ha seguito nello sviluppo degli argomenti che ora costituiscono la<br />

materia di quest’opera e di cui il primo riguarda la rimozione <strong>della</strong> paura <strong>della</strong> morte e del pregiudizio che<br />

la morte sia un male (il male estremo). 527<br />

M. e A. discutono de contemnenda morte. A. osserva che la morte è male (il male estremo) sia per chi è vivo<br />

sia per chi è già morto. M. rileva che in modo si afferma che la morte è fattore di infelicità e che, secondo<br />

l’opinione espressa da A., tutti gli uomini dovrebbero essere infelici. Si dovrebbe, cioè, ammettere una<br />

infelicità generale, alla quale nessuno potrebbe sottrarsi. Ma come si può dire infelice chi è morto e che<br />

praticamente non esiste più? Si può dire infelice uno che nemmeno esiste? A. ribatte che in tal modo si deve<br />

intendere piuttosto che chi è morto è infelice proprio perché non esiste: un evidente paradosso. M. rileva che<br />

la paura <strong>della</strong> morte è connessa piuttosto alla credenza nell’Ade e negli eventi che si dicono doversi<br />

affrontare in quella sede sotterranea. Ma sulla opportunità di non credere a tutto ciò che si racconta intorno<br />

all’Ade con<strong>cor</strong>dano sia A. che M. Bisogna dunque stabilire razionalmente quali ipotesi verosimili possono<br />

ammettersi intorno alla morte, con riguardo alla concezione dell’anima. Si tratta, infatti, di considerare la<br />

natura dell’anima, per potere stabilire anche se essa sia immortale, come hanno cercato di dimostrare filosofi<br />

come Platone, e quale sia il suo destino dopo la separazione dal <strong>cor</strong>po. Quanto alla costituzione dell’anima,<br />

Cicerone riporta le varie dottrine antiche e si sofferma sulla osservazione di Aristotele, per il quale è<br />

inverosimile che sia costituita dei quattro elementi materiali un organo qual è l’anima, che svolge funzioni<br />

che nessun essere vivente è in grado di svolgere. 528 E che l’anima sia immortale è attestato dai culti dei morti<br />

diffusi nell’antichità presso diversi popoli. Cicerone mette in rilievo come il culto dei morti, presente presso<br />

tutti i popoli, sia un’espressione <strong>della</strong> credenza nell’immortalità dello spirito. Se le anime dei defunti si<br />

disperdessero e di esse non rimanesse nulla, non si avrebbe tanta cura da parte dei parenti e dei concittadini<br />

nell’onorare i sepolcri e nell’evocare la presenza dei defunti. In qualche modo gli spiriti dei defunti devono<br />

avere una forma di vita che permette loro di partecipare alle vicende cittadine e alla stessa vita dei posteri. 529<br />

Ma quale struttura si dovrà ipotizzare come propria dell’anima? E’ verosimile che l’anima, in quanto<br />

costituita di una sostanza che non si identifica con quelle che costituiscono i <strong>cor</strong>po, sia dotata di una naturale<br />

tendenza a innalzarsi alla sfera celeste e che colà sia la sua sede propria. Si deve supporre che l’anima abbia<br />

522 “Nam mores et instituta vitae resque domesticas ac familiaris nos profecto et melius et lautius, rem vero publicam<br />

nostri maiores certe melioribus temperaverunt et institutis et legibus » (1, 2).<br />

523 “Doctrina Grascia nos et omni litterarum genere superabat” (1, 3).<br />

524 “At contra eratorem celeriter completi sumus, nec eum primum eruditum, aptum tamen ad dicendum, post autem<br />

eruditum” (3, 1).<br />

525 “Philosophia iacuit usque ad hanc aetatem nec ullum habuit lumen litterarum Latinarum; quae inlustranda et<br />

excitanda nobis est” (3, 5).<br />

526 “Hanc enim perfectam philosophiam sempre indicavi, quae de maximis quaestionibus copiose posset ornateque<br />

dicere” (4, 7).<br />

527 Le Tuscolane, infatti, seguono il trattato De finibus bonorum et malorum.<br />

528 “Aristoteles, longe omnibus – Platonem sempre excipio – praestans et ingenio et diligentia, cum quattuor nota illa<br />

genera principiorum esset complexus, e quibus omnia orerentur, quintam quondam naturam censet esse, e qua sit mens;<br />

cogitare enim et providere et discere et docere et invenire aliquid et tam multa [alia] meminisse, amare, odisse, cupere<br />

timere, angi laetari, haec et similia eorum in horum quattuor generum intesse nullo putat; quintum genus adhibet vacans<br />

nomine et sic ipsum animum eèndele@ceian appellat novo nomine quasi quondam continuatam motionem et<br />

perennem” (10, 22).<br />

529 “Idque cum multis aliis rebus, tum e pontificio iure et e cerimoniis sepulcrorum intelligi licet, quas maxumis<br />

ingeniis praediti nec tanta cura coluisset nec violatas tam inexpiabili religione senxissent, nisi haereret in eorum<br />

mentibus mortem non interitum esse omnia tollentem atque delentem, sed quondam quasi migrationem<br />

comutationemque vitae, quae in claris viris et feminis dux in coelum soleret esse, in ceteris humi retineretur et<br />

permaneret tamen” (12, 27).

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