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Storia popolare della filosofia - prova-cor

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del pensiero matematico e alla <strong>filosofia</strong>) non sono altro che espressioni e forme diverse di una medesima<br />

attitudine, che cresce, per così dire, su se stessa e si dà, via via, configurazioni più articolate, in rapporto ai possibili<br />

problemi che si presentano nell’ambito dell’esistenza. La <strong>filosofia</strong> <strong>cor</strong>risponde a un livello di rappresentazione<br />

concettuale, “scientifica” e razionale del “mondo” in cui si svolge l’intera sfera dell’esperienza umana.<br />

Gli studiosi che hanno esaminato il problema relativo all’evoluzione dell’intelligenza hanno rilevato che<br />

l’uomo da una condizione “primitiva” di sostanziale fusione con la realtà è passato via via a una condizione di distacco<br />

e di separazione. La realtà si è sempre di più allontanata dalla soggettività umana, per configurarsi come una<br />

sfera autonoma, distinta rispetto alla sfera delle percezioni, delle emozioni, dei pensieri e delle azioni<br />

dell’uomo. L’uomo si è trovato, così, di fronte a una realtà estranea, interamente altra, da indagare e scoprire nei suoi<br />

segreti nascosti e da dominare col pensiero e con l’azione.<br />

Alcuni fattori hanno determinato questo passaggio. A. Le Roy, 6 che ha esaminato il “processo di<br />

ominizzazione”, consistente nel progressivo distacco dell’uomo dall’animalità, ha rilevato che in tale<br />

sviluppo una funzione preminente è da attribuire al progressivo prevalere del senso <strong>della</strong> vista. Gli occhi, nel<br />

momento in cui rivelano l’esistenza del mondo esterno, allontanano il soggetto dalla realtà e lo rendono<br />

estraneo ad essa, sicché ormai la conoscenza del mondo diventa un problema. La realtà esterna appare<br />

lontana e inafferrabile e il soggetto incomincia a disporre le più varie strategie per ristabilire un contatto col<br />

mondo, per riuscire a dominare la realtà e renderla intelligibile. In tal modo, l’intelligenza, come capacità<br />

rappresentativa, acquista una sempre maggiore importanza. Nell’esperienza primordiale, invece, la<br />

sensibilità stabiliva un contatto immediato con la realtà. Come ha osservato acutamente E. Morot-Sir, nella<br />

scoperta sensoriale del reale, emergono due funzioni, con attività specifiche e complementari: il tatto e la<br />

vista. L’uno compie la scoperta immediata del dato sensibile ed è connesso al senso del reale. La vista, al<br />

contrario, con la sua attività di rappresentazione, tende a separare la sensazione dalle cose, isolando la<br />

coscienza e costituendola come spettatore di un mondo in cui si svolgono degli eventi. In questo modo, la<br />

coscienza del reale si compie in un distacco. E ad un certo punto può accadere che le rappresentazioni<br />

appaiano come semplici apparenze, fantasmi creati dalla mente. 7 La funzione eminente acquistata dal senso <strong>della</strong><br />

vista ha favorito lo sviluppo dell’intelletto come facoltà dell’elaborazione concettuale. C’è, infatti, una profonda<br />

analogia tra la visione sensibile, rivolta alla distinguere nei loro minimi dettagli le cose, e la comprensione<br />

intellettuale, anch’essa analitica. L’idea, come sappiamo, è originariamente l’oggetto <strong>della</strong> visione, la forma<br />

colta con estrema precisione. L’osservazione dei fenomeni costituisce un presupposto <strong>della</strong> scienza,<br />

altrettanto quanto lo è l’intelletto. In tal modo si è sviluppata la facoltà <strong>della</strong> determinazione, rivolta a cogliere<br />

e comprendere l’identità di ogni forma, al di là dell’apparenza visiva, attraverso la visione intellettuale.<br />

L’evoluzione psichica, come ha rilevato D. Katz, procede verso un’emancipazione dell’intelligenza dal<br />

complesso percettivo, e “l’uomo non è soprattutto caratterizzato dal fatto che anch’egli abbaia forme<br />

percettive, ma piuttosto dal fatto che, a differenza dell’animale, è capace di emanciparsi da esse” 8 .<br />

La <strong>filosofia</strong> riflette, in modo particolare, questa tendenza <strong>della</strong> mente umana a emanciparsi dalla<br />

“apparenze” sensibili, per pervenire a una comprensione di ciò che il reale “è” per se stesso, si può dire,<br />

indipendentemente dai modi in cui viene percepito. La sua nascita, infatti, si colloca nel momento in cui dalla<br />

rappresentazione <strong>della</strong> realtà in simboli e figure esemplari (specialmente nel mito) si passa a una comprensione<br />

concettuale (per cui il logos stesso venne considerato l’essenza e la struttura “vera” <strong>della</strong> realtà). Già dai pitagorici la<br />

realtà è concepita come un sistema di rapporti numerici, aritmo-geometrici, cioè sostanzialmente come un<br />

sistema interamente intelligibile, la cui via di accesso non è quella empirica <strong>della</strong> manifestazione sensibile<br />

<strong>della</strong> realtà, bensì quella intellettuale dell’astrattezza matematica. Si può dire che, nell’impostazione di<br />

questa ipotesi di interpretazione <strong>della</strong> realtà, sia già presente in nuce l’intero programma <strong>della</strong> scienza esatta<br />

<strong>della</strong> natura, quale sarà realizzato nell’età moderna. Per Platone l’intelligibilità coincide con la realtà stessa,<br />

considerata nei princìpi <strong>della</strong> sua costituzione: le idee, che sono le strutture fondamentali <strong>della</strong><br />

determinazione, per cui l’essere indefinito si dispiega nella molteplicità degli enti, sono interamente<br />

intelligibili, in quanto forme per la visione intellettuale. Nell’ambito di questa prospettiva si è sviluppata,<br />

quindi, la tecnica, come procedura basata sulla scienza analitica e rivolta ad agire sul reale, scomponendolo e<br />

ricomponendolo artificialmente. I timori e le perplessità che oggi si profilano intorno alle conseguenze <strong>della</strong><br />

tecnica sono dovuti al fatto che esse appaiono imprevedibili, per cui lo sviluppo scientifico, disposto per<br />

difendere l’umanità dall’”imprevedibilità del divenire” (secondo una nota espressione di E: Severino),<br />

appare oggi come il fattore irrimediabile dell’imprevedibilità stessa.<br />

6 A. Le Roy, Les origines humaines et l’evolution de l’intelligence, Paris 1931.<br />

7 E. Morot-Sir, Philosophie et mystique, Paris 1948, p. 184.<br />

8 D. Katz, La psicologia <strong>della</strong> forma, tr. it., Einaudi, Torino 1950, p. 196.

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