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Storia popolare della filosofia - prova-cor

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Il “logos”, come rilevò Eraclito, è “unico” per tutti gli uomini, dunque è fondamento di “verità” e di conoscenza<br />

certa. L’esperienza sensibile, invece, è relativa e dà luogo a diverse opinioni. Parmenide, a sua volta, rilevò che il “logos”<br />

è proprio dell’essere immutabile, mentre le opinioni si riferiscono alle cose mutevoli. Pertanto solo quando si è<br />

sviluppata l’attività del puro pensiero si è incominciato a produrre scienza vera. Il “logos” è, appunto, il pensiero puro,<br />

che si esprime nel ragionamento e non si avvale dell’apporto dell’esperienza. La <strong>filosofia</strong> incomincia, infatti, quando si<br />

incomincia a cercare il principio di tutte cose, identificandolo mediante un concetto (l’acqua di Talete, l’infinito di<br />

Anassimandro, l’aria di Anassimene non sono sostanze comprensibili attraverso l’esperienza).<br />

La <strong>filosofia</strong> nasce allorché è interamente compiuto il passaggio a una forma di sapere fondato<br />

dall’intelligenza umana come facoltà autonoma di comprensione (“intelligenza”) <strong>della</strong> realtà (sia pure<br />

considerata dapprima come una espressione dell’originario elemento divino presente nell’anima). Nello<br />

stesso tempo si è affermata l’idea <strong>della</strong> realtà come sfera unitaria, facente capo a un principio sostanziale<br />

(“arché”) e a una interna legge immutabile. Il “logos” è, insieme, il principio dell’intelligibilità del reale e la<br />

legge interna del pensiero “scientifico” (che fonda una conoscenza certa, un’epistéme). Sulla base di questo<br />

principio, il reale, configurato come “natura”, cioè come una totalità organica, diventa l’oggetto di un sapere<br />

sistematico, che comprende tutti i suoi aspetti e li spiega in base a leggi uniformi. Una tale forma di<br />

conoscenza è emancipata dalla relatività dell’esperienza e assume validità universale. L’”epistéme”<br />

riguarda, infatti, quel sapere che segue il “logos” (ed è espressione di esso) e non, invece, le modalità<br />

dell’esperienza sensibile. Per questa via, si è andato precisando il divario tra la scienza dell’essere<br />

immutabile e l’opinione mutevole, l’una costituita come “contemplazione” pura, sapere disinteressato, l’altra<br />

come strumento “pratico” (tecnica). Si può dire che questa distinzione, per cui da una parte si colloca un tipo<br />

di conoscenza interamente libero da ogni preoccupazione pratica e dall’altra, invece, una conoscenza<br />

inferiore, costituita in rapporto all’uso delle cose e connessa alle modalità dell’apparire fenomenico,<br />

caratterizza tutta la cultura dell’antichità (e an<strong>cor</strong>a del medioevo). L’epistéme, conoscenza puramente<br />

“teorica”, risponde a un impulso naturale dell’uomo, alla curiosità (desiderio di sapere) che nasce dalla<br />

meraviglia, e si alimenta delle risorse del puro pensiero, che riguarda il reale in quanto intelligibile (a sua<br />

volta, espressione del “logos”). L’epistéme si sviluppa nell’ambito del “logos” e riguarda, in qualche modo, il<br />

reale (l’essere in generale ma anche l’essere degli enti) in quanto ambito <strong>della</strong> rivelazione di sé (e il pensiero<br />

in quanto luogo di questa rivelazione). 27<br />

27 Secondo Aristotele, c’è nell’uomo un impulso al sapere puro (orexis toy eidenai) che si esprime nella meraviglia e,<br />

quindi, si trasforma nella ricerca intorno alla costituzione dell’essere delle cose (episkepsis ton onton). Infatti, “è in<br />

quanto stupiscono che gli uomini presero a filosofare” (Met., A 2, 982 b 11-24). Il sapere fondamentale <strong>cor</strong>risponde,<br />

dunque, a un bisogno dello spirito umano e riguarda l’interna struttura del reale: esso riguarda l’”essere” e, perciò, si<br />

configura come “ontologia”: l’uomo avverte stupore di fronte alla totalità delle cose e incomincia a domandarsi come il<br />

“tutto” possa esistere e quale principio o forza lo sostenga e lo alimenti. La domanda filosofica sull’”essere” non è altro<br />

che la formulazione matura di questa originaria meraviglia di fronte al prodigio dell’esistenza in generale. Aristotele, in<br />

questo senso, afferma che l’uomo è filosofo per natura. E la <strong>filosofia</strong> è definita come perì tes aletheias theoria ed<br />

epistéme aletheias. Lo stesso Aristotele dice che il compito del filosofo è quello di “far sì che [l’ente] si manifesti”, cioè<br />

di “fare apparire” (all’interno del “logos”), e lo indica con l’espressione apophainesthai perì tes aletheias. Tra le varie<br />

forme dell’apparire (che avviene in forma sensibile e in forma intelligibile, aistheton e noeton, e si articola in modi<br />

molteplici, relativi alle due forme fondamentali: katà to pragma, katà physin, physikos, kat’aletheian, katà doxan,<br />

loghikos, dialekticos, phainomenos). In particolare, la “verità” riguarda il manifestarsi dell’essere, non il manifestarsi<br />

secondario dell’opinare e <strong>della</strong> prassi umana. E l’espressione perì ton onton aletheuein non riguarda l’ambito del<br />

dis<strong>cor</strong>so (dire il “vero”), ma ha significato ontologico, cioè è riferito al disvelamento dell’essere (o dell’essere<br />

dell’ente). L’umano disvelare consiste nel comprendere gli enti secondo la loro intrinseca manifestabilità e nel<br />

comprenderli seguendo il movimento del loro manifestarsi (Per questa tematica, cfr. Leo Lugarini, L’idea di <strong>filosofia</strong> in<br />

Aristotele). L’”epistéme” riguarda questo tipo di sapere che segue il “logos” interno <strong>della</strong> realtà (i modi in cui l’essere si<br />

manifesta nel pensiero) e non, invece, le modalità dell’opinare. Inoltre, essa è puramente teorica e non assume una<br />

connotazione “tecnica” di strumento <strong>della</strong> prassi umana. Una tale connotazione distingue, invece, la scienza moderna,<br />

che intende costituirsi come conoscenza delle cause dell’accadere fenomenico. Così il “logos” moderno è proprio <strong>della</strong><br />

ragione umana che decide intorno al “vero” e al “falso” (stabiliti sulla base <strong>della</strong> <strong>cor</strong>rispondenza logica): Per il pensiero<br />

moderno le modalità del “giudicare” diventano “criterio” di verità (mentre nel pensiero antico la verità come<br />

manifestazione è fondamento dello stesso “giudizio”). La ragione moderna si profila, così, come il criterio medesimo in<br />

base al quale il reale diventa accessibile al dominio <strong>della</strong> prassi. L’intelligibilità non riguarda più il reale in sé, bensì<br />

riguarda il reale in quanto oggetto del giudizio scientifico e, in un secondo momento, <strong>della</strong> prassi razionale, disposta<br />

scientificamente, sulla base di procedure “esatte”, definite in rapporto a determinati scopi. Qualcuno ritiene che, con<br />

l’affermarsi del “logos”, questo cammino sia già avviato. Le circostanze storiche e altri elementi culturali avrebbero<br />

favorito questa evoluzione. Un elemento decisivo, a questo proposito, può essere ravvisato nella concezione cristiana

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