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Storia popolare della filosofia - prova-cor

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“Si dice che ai Romani mancò la tendenza naturale a essere filosofi: e non lo furono infatti né quanto né<br />

come i Greci: ché alla speculazione filosofica il loro ingegno fu certamente negato; ma curiosissimi 595 essi<br />

furono delle concezioni filosiche e nessun sistema di <strong>filosofia</strong> greca fu ignoto in Roma o restò senza seguaci.<br />

L’ingegno romano, istintivamente politico e giuridico, cercò dapprima, oltre che nella esperienza, negli scritti<br />

degli uomini le norme e i precetti morali <strong>della</strong> vita. Filosofare ai tempi di Ennio si reputava già cosa<br />

necessaria; anche se non sono invenzione di Ennio quelle parole del suo Neottolemo: Philosophari … nocesse<br />

esse, sed paucis, nam omnino haud placere. E un poco di <strong>filosofia</strong> era necessario ai dotti romani: quel poco che si<br />

riferiva soprattutto alla morale, cioè particolarmente all’uomo: ché filosofare in generale (omnino), cioè<br />

seguire la <strong>filosofia</strong> in tutte le sue parti, non piacque quasi a nessuno in Roma e in nessun tempo. Nella<br />

letteratura romana apparì presto, subito anzi, questa tenenza ad accogliere le voci <strong>della</strong> <strong>filosofia</strong> greca, se<br />

pure nel carmen di Appio Claudio erano quegli influssi pitagorici che vi trovava Cicerone (Tusc., IV, 2, 4).<br />

Argomenti filosofici trattò Ennio nell’Epicarmo e forse anche nelle satire; e di <strong>filosofia</strong> accademica, stoica e<br />

peripatetica avevano largamente e piacevolmente discusso quei tre ambasciatori filosofi, Carneade, Diogene<br />

e Critolao, che il vecchio Catone sollecitava nell’a. 155 a partire presto da Roma. Ma poco dopo i filosofi greci<br />

saranno, nonché tollerati, ricercati: e nel circolo di Scipione Emiliano e di Lelio Sapiens fu in grande onore<br />

Panezio, il massimo propagatore <strong>della</strong> dottrina stoica presso i Romani”. 596<br />

“Nell’età di Giulio Cesare la cultura greca investe in pieno il mondo intellettuale romano e lo feconda<br />

dovunque: nella dottrina grammaticale e retorica, nell’eloquenza, nella <strong>filosofia</strong>, nella poesia. Filosofia e<br />

poesia si congiungono anzi, ora, in Roma, come non si congiunsero mai in nessun tempo e in nessun luogo;<br />

perché il poema di Lucrezio è rimasto unico monumento di quel che possa il genio poetico anche nella<br />

espressione e nella significazione <strong>della</strong> scienza. Le dottrine filosofiche, pure accomodate e ridotte, erano<br />

penetrate per via dei libri e dei doti greci che venivano e dimoravano in Roma: e le persone colte ne erano<br />

tutte, più o meno leggermente, imbevute. I problemi filosofici che potevano interessare i Romani erano quelli<br />

più propriamente politici e morali, quelli che meglio si prestavano alle facili discussioni e a una superficiale<br />

esperienza e osservazione <strong>della</strong> natura e delle costumanze umane: esclusi i problemi che riguardavano<br />

l’essenza delle cose e il grado e il modo <strong>della</strong> conoscenza, i quali avevano esercitato l’indagine greca, ma<br />

restarono intentati dagli ingegni romani”. 597<br />

La società romana già nei primi decenni del I secolo a. C. è profondamente mutata. Le guerre sostenute<br />

per espandere il dominio in Asia e in Africa hanno determinato il successo di capi militari che esercitano il<br />

loro potere a Roma, per cui emergono gruppi e classi sui quali essi appoggiano i loro progetti politici.<br />

L’esempio del conflitto tra Mario e Silla, rappresentanti dei partiti democratico e aristocratico, è eloquente. Il<br />

popolo emerge in primo piano attraverso i capi che aspirano a occupare il potere. La politica si personalizza.<br />

I Romani, prevalentemente agricoltori e guerrieri, non si erano occupati di problemi filosofici e scientifici;<br />

avevano concentrato il loro interesse culturale sui problemi giuridici, riguardanti il governo <strong>della</strong> società.<br />

Nel 168 a. C. la conquista <strong>della</strong> Macedonia portò i Romani a contatto diretto con la cultura greca. Allora<br />

essi avvertirono i problemi che uno scambio intensificato con quella civiltà avrebbe comportato e cercarono<br />

di limitare quei contatti, specialmente riguardo alla eventuale influenza negativa che avrebbero avuto<br />

dottrine etiche e politiche incentrate sui concetti di felicità individuale e nelle quali si sosteneva l’opportunità<br />

per gli individui di astenersi dagli impegni <strong>della</strong> vita civile. Si temeva che simili dottrine potessero esercitare<br />

una funzione disgregatrice dello stato. La diffusione <strong>della</strong> <strong>filosofia</strong> greca era vista come un pericolo per<br />

l’integrità <strong>della</strong> tradizione romana, fondata su saldi principi etici e giuridici. Perciò si delineò un vero e<br />

proprio partito contrario alla politica di apertura verso i dotti che dalla Grecia sempre più numerosi si<br />

stabilivano a Roma, in<strong>cor</strong>aggiati dal notevole successo <strong>della</strong> loro attività dialettica e dis<strong>cor</strong>siva. Catone il<br />

Censore capeggiava quel partito. Un giureconsulto del 161 ordinò che i retori e i filosofi, venuti in Roma<br />

come esuli <strong>della</strong> Macedonia, fossero espulsi.<br />

L’incontro più significativo <strong>della</strong> <strong>filosofia</strong> greca (nelle sue <strong>cor</strong>renti principali, accademica, stoica,<br />

peripatetica) con la cultura romana avvenne nel 156, quando Atene inviava a Roma una missione<br />

diplomatica, formata da tre filosofi (Carneade, Diogene di Babilonia e Critolao), rappresentanti di quegli<br />

indirizzi. In quell’occasione costoro approfittarono per fare conoscere le loro dottrine, destando grande<br />

595 Massimo interprete e rappresentante <strong>della</strong> “curiosità” filosofica dei Romani fu indubbiamente Cicerone, il quale<br />

curò di apprendere l’intero panorama delle dottrine diffuse nel suo tempo e nelle sue opere fece intervenire, a dibattere e<br />

dialogare, i sostenitori di esse, dimostrando di possedere conoscenze approfondite e di orientarsi con sicurezza nella<br />

scelta delle opinioni più verosimili. Tutto ciò dimostra che il panorama filosofico greco era allora penetrato<br />

nell’ambiente culturale romano.<br />

596 C. Marchesi, <strong>Storia</strong> <strong>della</strong> letteratura latina, Principato, Messina 1950, pp. 104-5.<br />

597 Op. cit., p. 104.

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