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Storia popolare della filosofia - prova-cor

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principio ma anche il suo destino. E il pensiero ha lo stesso fondamento: esso ha senso in quanto coglie le<br />

ragioni <strong>della</strong> creazione e, in qualche modo, comprende il senso dell’ente, in quanto questo è depositato nel<br />

“logos”, che è Dio stesso in quanto principio del pensiero. In quanto l’ente ha senso e si sviluppa secondo un<br />

ordine, esso è incardinato in un pensiero; e il dis<strong>cor</strong>so che noi facciamo è in qualche modo una “imitazione”<br />

di tale pensiero (che appartiene all’ente, come sua “ragione”). Il pensiero, anzi, è condizione <strong>della</strong> creazione<br />

del mondo; e questo non è altro che come un immenso libro scritto coi caratteri del pensiero divino. Le vie e<br />

gli strumenti <strong>della</strong> <strong>filosofia</strong> cristiana sono, infatti, la ragione e la fede: l’interpretazione dei caratteri in cui è<br />

scritto il libro dell’universo non è possibile soltanto sulla base dell’esperienza sensibile e intellettuale, ma<br />

implica una spiegazione data direttamente da Dio e consegnata a una “scrittura”. Ma tutto ciò è possibile<br />

sulla base e nell’ambito del pensiero. Non solo il pensiero non è separato dall’essere, ma esso è l’essere nella<br />

forma in cui si rivela e nel modo in cui costituisce la scrittura fondamentale.<br />

Il pensiero moderno, invece, opera la frattura che consiste essenzialmente nell’infrazione del divieto<br />

parmenideo. Esso distingue nettamente ciò che è dell’essere e ciò che è dell’ente e, inoltre, ciò che è pensiero<br />

e ciò che è realtà. L’essere è il fondamento trascendente, per il quale nessuna analogia con l’ente è possibile<br />

stabilire; ed è al di là del pensiero. Ecco, dunque, la separazione dell’essere dall’ente. Dell’essere non è<br />

possibile nessuna scienza; né il rapporto tra l’essere e l’ente è pensabile, poiché esso è di intera pertinenza<br />

dell’essere. In questo modo vengono meno le ragioni <strong>della</strong> metafisica, poiché questa si basa sulla<br />

comprensione di quel rapporto, cioè del modo in cui l’essere tiene in sé l’ente e in cui l’ente appartiene<br />

all’essere (o secondo cui l’essere e l’ente si appartengono reciprocamente).<br />

Così anche il pensiero viene separato dall’essere. Esso viene inteso come lo strumento per pensare (o<br />

comprendere) l’ente; e questo viene considerato come un “intelligibile”, come un termine del pensiero, come<br />

il cartesiano “cogitatum” (“pensato”), <strong>cor</strong>relativo all’atto del “cogito” (“io penso”). La <strong>filosofia</strong> moderna è<br />

principalmente una <strong>filosofia</strong> del soggetto. La soggettività costituisce il campo d’indagine dell’intera<br />

riflessione. I razionalisti intendono il soggetto come razionalità, capace di operare l’analisi <strong>della</strong> costituzione<br />

del reale, per comprenderne la costituzione matematica. L’universo fisico può essere scomposto e<br />

ricomposto attraverso i procedimenti dell’analisi matematica. Gli empiristi mettono in rilievo i limiti<br />

dell’esperienza e, sempre di più, sottolineano il carattere soggettivo di ogni rappresentazione del reale. Noi,<br />

più che con le cose, abbiamo a che fare con le nostre rappresentazioni. Kant ha specialmente rilevato il<br />

carattere trascendentale (relativo alla costituzione universale del soggetto) <strong>della</strong> scienza del mondo<br />

fenomenico.<br />

Gli idealisti hanno tentato di ricostituire l’unità dell’essere e del pensiero, ma in realtà hanno risolto le<br />

strutture ontologiche nelle categorie logiche, proclamando, inevitabilmente, l’assunzione <strong>della</strong> logica (in<br />

quanto scienza <strong>della</strong> razionalità del reale) a metafisica. Analogamente, il tentativo di ristabilire la<br />

connessione dell’ente con l’essere si è risolto quasi generalmente nell’affermazione di un Assoluto nel quale<br />

l’ente finito perde la sua stessa ragion d’essere.<br />

La rivendicazione quasi violenta dell’autonomia del finito operata dalle filosofie post-hegeliane ha<br />

praticamente portato a quella crisi generale <strong>della</strong> metafisica, che ha in Nietzsche il suo interprete più<br />

conseguente. Nietzsche ha riassunto questa condizione del pensiero (e dell’intera temperie culturale) con la<br />

famosa constatazione che “Dio è morto”, cioè che si sono dissolte tutte le concezioni metafisiche relative al<br />

fondamento, ai princìpi e ai valori ontologici, a ogni ipotesi di rapporto tra l’essere e l’ente e a ogni idea di<br />

“ragion d’essere” o di senso del mondo e dell’esistenza. In questo modo siamo giunti all’epoca che ormai<br />

con<strong>cor</strong>demente è chiamata come “età del nichilismo”.<br />

Il “ritorno a Parmenide”, invocato recentemente da Emanuele Severino, appare come il rimedio per la crisi profonda<br />

che il mondo occidentale sta attraversando. Ma in che modo potrebbe oggi configurarsi la ricostituzione dell’unità di<br />

essere ed ente e di essere e pensiero? Quali potrebbero essere le linee di una <strong>filosofia</strong> neoeleatica? La via indicata e in<br />

gran parte per<strong>cor</strong>sa da Heidegger ci sembra an<strong>cor</strong>a quella più verosimile. In particolare, la riproposizione dell’analitica<br />

esistenziale come indagine intorno al senso dell’essere avrebbe il vantaggio di muoversi in un ambito, si può dire, di<br />

ricongiunzione dell’essere e dell’ente (anche se questo è emblematicamente assunto nell’esistenza dell’uomo). L’analisi<br />

<strong>della</strong> condizione umana dovrebbe costituire il presupposto per un dis<strong>cor</strong>so, che sia insieme “ontico” e “ontologico”, cioè<br />

che riguardi il senso degli enti e il senso dell’essere in generale. Il dis<strong>cor</strong>so sulle cose, su tutto ciò che appartiene al<br />

dominio <strong>della</strong> natura e a quello <strong>della</strong> tecnica, va approfondito, secondo punti di vista che significhino il più possibile un<br />

superamento <strong>della</strong> prospettiva antropocentrica. Si può, ad esempio, sviluppare un dis<strong>cor</strong>so sulla natura, in modo che<br />

questa emerga come una sfera dotata di prerogative e caratteri propri, anche indipendentemente da tutto ciò che può<br />

apparire legato alla condizione dell’uomo? Si può, cioè, parlare an<strong>cor</strong>a di un “essere” <strong>della</strong> natura? In primo luogo, ci<br />

sembra che il divieto parmenideo riguardi, appunto, la separazione dell’essere dall’ente e che, pertanto, lo sviluppo <strong>della</strong><br />

metafisica vada perseguito nella forma dell’indagine intorno all’essere dell’ente. La costituzione di un complesso di<br />

“ontologie regionali” (secondo il progetto fenomenologico delineato già da Husserl) potrebbe essere presa in

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