Storia popolare della filosofia - prova-cor
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Rimane, perciò, il senso <strong>della</strong> grande lezione heideggeriana sulla <strong>filosofia</strong> greca. Heidegger, al di là di ogni particolare<br />
approccio interpretativo, ha voluto mettere in luce tutta la portata del pensiero antico rispetto allo sforzo compiuto per<br />
rendere intelligibile il reale sulla base dell’originario nesso di essere e pensiero, rilevato con grande determinazione da<br />
Parmenide.<br />
Heidegger qui tocca lo spirito greco e riesce a pensare “in modo più greco dei Greci”, come opportunamente osserva<br />
il curatore di questa edizione.<br />
M. Heidegger, I concetti fondamentali <strong>della</strong> <strong>filosofia</strong> antica, ed. italiana a cura di C. Volpi, tr. di G. Gurisatti,<br />
Adelphi, Milano 2000, pp. 448.<br />
Il divieto di Parmenide e la <strong>filosofia</strong> moderna. Come, secondo Severino, la <strong>filosofia</strong> moderna ha infranto il<br />
divieto di Parmenide di separare l’ente e il pensiero dall’essere<br />
Proseguiamo il dis<strong>cor</strong>so su Parmenide e la metafisica. Abbiamo visto come la concezione metafisica <strong>della</strong><br />
realtà come totalità abbia sostanzialmente sviluppato la tesi parmenidea e come la <strong>filosofia</strong> antica si sia<br />
mantenuta aderente ad essa, con particolare riguardo al divieto perentorio di separare l’ente dall’essere e di<br />
concepire come distinti princìpi l’essere e il pensiero. Questa fondamentale linea di matrice eleatica è anche<br />
quella nella quale prosegue la <strong>filosofia</strong> cristiana e medievale, per la quale, anzi, il principio o il fondamento<br />
di ogni realtà, l’essere parmenideo, è concepito come il creatore dell’ente, Dio, che vuole l’esistenza<br />
dell’universo degli enti. Dio è il custode dell’ente ed è garanzia di senso, di ragion d’essere. L’ente, in quanto<br />
creato da Dio, è investito di un significato, ha una funzione, una finalità, una costituzione connessa a un<br />
ordine. La metafisica si lega strettamente alla teologia, che è la scienza, basata essenzialmente sulla<br />
rivelazione, <strong>della</strong> creazione e del rapporto tra l’ente e Dio. E’ la teologia che può rispondere alle domande sul<br />
senso <strong>della</strong> realtà, sul destino dell’uomo e delle cose. L’ente viene, così, an<strong>cor</strong>a doppiamente legato<br />
all’essere: senza un riferimento a Dio, non è possibile dire nulla intorno al mistero <strong>della</strong> creazione e al senso<br />
del mondo; non solo non è possibile separare l’ente dall’essere, ma non è neppure possibile attribuire un<br />
senso all’ente fuori del rapporto con l’essere. L’ente trova nell’essere che lo fonda non solo il suo principio<br />
ma anche il suo destino. E il pensiero ha lo stesso fondamento: esso ha senso in quanto coglie le ragioni <strong>della</strong><br />
creazione e, in qualche modo, comprende il senso dell’ente, in quanto questo è depositato nel “logos”, che è<br />
Dio stesso in quanto principio del pensiero. In quanto l’ente ha senso e si sviluppa secondo un ordine, esso è<br />
incardinato in un pensiero; e il dis<strong>cor</strong>so che noi facciamo è in qualche modo una “imitazione” di tale<br />
pensiero (che appartiene all’ente, come sua “ragione”). Il pensiero, anzi, è condizione <strong>della</strong> creazione del<br />
mondo; e questo non è altro che come un immenso libro scritto coi caratteri del pensiero divino. Le vie e gli<br />
strumenti <strong>della</strong> <strong>filosofia</strong> cristiana sono, infatti, la ragione e la fede: l’interpretazione dei caratteri in cui è<br />
scritto il libro dell’universo non è possibile soltanto sulla base dell’esperienza sensibile e intellettuale, ma<br />
implica una spiegazione data direttamente da Dio e consegnata a una “scrittura”. Ma tutto ciò è possibile<br />
sulla base e nell’ambito del pensiero. Non solo il pensiero non è separato dall’essere, ma esso è l’essere nella<br />
forma in cui si rivela e nel modo in cui costituisce la scrittura fondamentale.<br />
Il pensiero moderno, invece, opera la frattura che consiste essenzialmente nell’infrazione del divieto<br />
parmenideo. Esso distingue nettamente ciò che è dell’essere e ciò che è dell’ente e, inoltre, ciò che è pensiero<br />
e ciò che è realtà. L’essere è il fondamento trascendente, per il quale nessuna analogia con l’ente è possibile<br />
stabilire; ed è al di là del pensiero. Ecco, dunque, la separazione dell’essere dall’ente. Dell’essere non è<br />
possibile nessuna scienza; né il rapporto tra l’essere e l’ente è pensabile, poiché esso è di intera pertinenza<br />
dell’essere. In questo modo vengono meno le ragioni <strong>della</strong> metafisica, poiché questa si basa sulla<br />
comprensione di quel rapporto, cioè del modo in cui l’essere tiene in sé l’ente e in cui l’ente appartiene<br />
all’essere (o secondo cui l’essere e l’ente si appartengono reciprocamente).<br />
Così anche il pensiero viene separato dall’essere. Esso viene inteso come lo strumento per pensare (o<br />
comprendere) l’ente; e questo viene considerato come un “intelligibile”, come un termine del pensiero, come<br />
il cartesiano “cogitatum” (“pensato”), <strong>cor</strong>relativo all’atto del “cogito” (“io penso”). La <strong>filosofia</strong> moderna è<br />
principalmente una <strong>filosofia</strong> del soggetto. La soggettività costituisce il campo d’indagine dell’intera<br />
riflessione. I razionalisti intendono il soggetto come razionalità, capace di operare l’analisi <strong>della</strong> costituzione<br />
del reale, per comprenderne la costituzione matematica. L’universo fisico può essere scomposto e<br />
ricomposto attraverso i procedimenti dell’analisi matematica. Gli empiristi mettono in rilievo i limiti<br />
dell’esperienza e, sempre di più, sottolineano il carattere soggettivo di ogni rappresentazione del reale. Noi,<br />
più che con le cose, abbiamo a che fare con le nostre rappresentazioni. Kant ha specialmente rilevato il