Storia popolare della filosofia - prova-cor
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iscatto. La struttura <strong>della</strong> rappresentazione tragica, articolata in una trilogia, <strong>cor</strong>risponde ai momenti in cui<br />
si svolge l’intera vicenda, con l’originaria esposizione nella colpa e nel peccato, la successiva caduta in un<br />
altro peccato, commesso nel tentativo di sfuggire alla situazione determinata dal primo, e infine la<br />
risoluzione positiva o negativa, a seconda che il protagonista pervenga a quella consapevolezza che lo rende<br />
meritevole di perdono oppure insista nel suo atteggiamento di tracotanza, per cui tutta la vicenda si<br />
conclude con la rovina generale (che è presupposto per lo svolgimento di altre situazioni tragiche).<br />
Comunque, solo peccando (ed errando) l’uomo perviene alla consapevolezza di sé: l’esercizio del potere<br />
implica azioni e comportamenti violenti e ingiusti, <strong>della</strong> cui consapevolezza è condizione la sofferenza<br />
tragica. E la conoscenza è condizione <strong>della</strong> purificazione e <strong>della</strong> disposizione di un ordine di giustizia.<br />
Sofocle accentua il respiro umano <strong>della</strong> vicenda tragica e questa si sviluppa e si risolve nell’esperienza che<br />
l’eroe si trova a compiere lungo lo svolgimento <strong>della</strong> situazione drammatica. Antigone vive la sua situazione<br />
di radicale contrapposizione alla legge <strong>della</strong> sua città e attende le conseguenze che derivano dal suo<br />
atteggiamento con lucida consapevolezza. Altrettanto Edipo compie l’esperienza tragica con l’accettazione<br />
<strong>della</strong> punizione alla quale è esposto.<br />
In Euripide, infine, la tragedia si risolve interamente nell’atto <strong>della</strong> rappresentazione. Il poeta dispiega il<br />
significato del mito e la rappresentazione si concentra nell’aspetto spettacolare e culturale, specialmente<br />
nelle impressioni che si propone di suscitare negli spettatori. In giuoco non è più tanto il rapporto tra l’uomo<br />
e la divinità bensì il modo in cui era vissuto questo rapporto nell’epoca storica che coincide con lo sviluppo<br />
dell’umanesimo e del relativismo dei Sofisti. In realtà Euripide lascia aperte le diverse interpretazioni che<br />
potevano darsi dell’esperienza religiosa, in conformità alle idee e alle concezioni personali, senza prospettare<br />
verità definitive. Così non è tanto il divino in sé a essere in giuoco, bensì l’esperienza del divino nelle sue<br />
molteplici forme.<br />
La rappresentazione dell’esistenza umana in Eschilo<br />
I grandi tragici (Eschilo, Sofocle, Euripide) rispecchiano, dunque, tre momenti dell’evoluzione <strong>della</strong> spiritualità greca.<br />
Eschilo è interprete <strong>della</strong> coscienza religiosa tradizionale, per la quale il rapporto col divino si dispiega nel senso di una<br />
misteriosa vicenda in cui si sta espiando una colpa commessa in tempi primordiali. Sofocle esprime una sensibilità in<br />
cui l’uomo si accinge ad assumere consapevolezza dei suoi errori e delle sue colpe e si dispone a espiarli. Euripide ha la<br />
consapevolezza che ogni vicenda ha per protagonista l’uomo, sicché le stesse divinità assumono il ruolo di<br />
rappresentazioni e simboli dell’umano.<br />
Per la rappresentazione dell’esistenza umana in Eschilo possiamo riferirci alla trilogia sul mito di<br />
Prometeo e specialmente al Prometeo incatenato, che è l’unica tragedia, fra queste tre, rimastaci completa.<br />
Prometeo è presentato come il tipico eroe che, recando il fuoco fra gli uomini, dà inizio al vero e proprio<br />
cammino <strong>della</strong> civiltà e <strong>della</strong> storia: infatti il fuoco simboleggia la forza stessa <strong>della</strong> natura, che l’uomo è<br />
capace di padroneggiare. Il mitico eroe è condotto da Cratos e Bia (il Potere e la Forza), ministri di Zeus, su<br />
un dirupo <strong>della</strong> lontana Scizia (la regione caucasica) e colà viene legato. Appena egli rimane solo e<br />
incomincia la sua dolorosa espiazione, esplode in un alto lamento, che viene raccolto dalle ninfe Oceanidi.<br />
Ad esse l’eroe racconta la propria vicenda, soffermandosi specialmente sui benefici cn i quali ha voluto<br />
consolare la vita degli uomini; e respinge ironicamente i consigli di Oceano, che cerca di riportarlo<br />
all’ubbidienza e alla sottomissione. Appare, quindi, una giovane, Io, perseguitata da Era che è gelosa di<br />
Zeus, e racconta al Coro le sue sofferenze. Prometeo sa che un discendente di Io, Eracle, sarà il suo liberatore<br />
e rivela alla giovane particolari intorno alle altre sventure che lei dovrà patire nel futuro. Prometeo conosce<br />
anche la fine del regno di Zeus e, allorché Ermes inviato da Zeus va a domandargli particolari su questo<br />
evento, si rifiuta e perciò precipita nel vuoto che si è aperto nella spaccatura <strong>della</strong> roccia alla quale è legato.<br />
All’inizio del secondo dramma, il Prometeo liberato, l’eroe viene riportato sulla Terra a continuare l’espiazione<br />
<strong>della</strong> sua colpa, che si prolunga per un periodo complessivo di trentamila anni, alla cui conclusione viene<br />
riammesso all’Olimpo. Come è stato acutamente osservato, “viste in questa luce, le sofferenze del prometeo<br />
eschileo si identificano con le sofferenze dell’uomo stesso, caduto dal cielo nella miseria e nella morte, ma<br />
destinato a risorgere”. 23 In effetto, dunque, Prometeo è l’uomo che lotta con la sua intelligenza per sfuggire a<br />
una condizione di miseria e schiavitù e che solo attraverso una lunga pena riesce a vincere definitivamente<br />
l’oscuro potere e la forza misteriosa che lo tengono incatenato al suo dolore e alla sua pena. Zeus impersona<br />
l’oscura tirannia alla quale l’uomo è sottomesso; ma al di sopra di lui domina il Tempo col suo <strong>cor</strong>so fatale.<br />
23 George Thomson, Eschilo e Atene, tr. it., Torino 1949, p. 436.