Storia popolare della filosofia - prova-cor
Storia popolare della filosofia - prova-cor
Storia popolare della filosofia - prova-cor
Create successful ePaper yourself
Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.
Epicuro distingue i desideri in naturali e necessari, maturali ma non necessari, né naturali né necessari. 465 I<br />
desideri che non recano dolore se non vengono appagati sono non necessari e derivano da un’errata opinione.<br />
I bisogni <strong>cor</strong>porei (la fame, la sete, il freddo) sono naturali e necessari. E i piaceri <strong>cor</strong>porei sono gli elementi<br />
formativi del bene per l’uomo. 466 Essi però vanno contenuti entro i limiti stabiliti dalla natura. Non si tratta<br />
di aumentare artificialmente i desideri e i piaceri <strong>cor</strong>rispondenti; infatti chi non segue la norma naturale<br />
nello sviluppo dei desideri si troverà sempre a desiderare ciò che non ha e a inventarsi bisogni nuovi e non<br />
naturali. 467 Così è saggio godere serenamente i beni presenti e non affliggersi nel pensiero di ciò che<br />
manca. 468 Solo lo stolto vive con la continua ansia del futuro. 469 Piuttosto oc<strong>cor</strong>re alleviare la sventura e il<br />
dolore con la memoria del bene passato e la consapevolezza “che non si può fare che non sia ciò che<br />
avvenne”. 470 Non sono i lussi e i godimenti sfrenati che rendono dolce la vita. La prudenza, perciò, è la<br />
fondamentale virtù: essa, infatti, ci insegna che “non c’è dolcezza di vita senza saggezza e bellezza e<br />
giustizia”. 471 Pur mettendo in rilievo il fondamentale significato delle virtù civili, di cui la giustizia è il<br />
fondamento, Epicuro osserva che è saggio evitare gli obblighi derivanti dalle cariche pubbliche. 472 Infatti<br />
“massimo frutto di giustizia è la serenità spirituale”. 473 L’area in cui si sviluppano rapporti interoggettivi<br />
rispondenti al fine <strong>della</strong> vita felice è quella dell’amicizia. L’amicizia, anche se ha la sua origine nell’utile<br />
reciproco, è un bene per sé ed è perseguibile in quanto tale, per i piaceri che la comunanza di sentire<br />
comporta. Essa si misura in rapporto all’altruismo e alla disponibilità di sacrificarsi per gli altri. E fare il bene<br />
è più dolce che riceverlo.<br />
L’uomo, che pure è dotato di disposizioni naturali, è artefice <strong>della</strong> sua felicità e <strong>della</strong> sua condizione<br />
morale. 474 Dobbiamo, tuttavia, supporre che ci sia un ipotetico spettatore come giudice <strong>della</strong> nostra<br />
condotta. 475 Ed è comunque il bene spirituale da ritenersi superiore e preferibile (così, ad esempio, non la<br />
giovinezza ma la saggezza). Ciò che consente all’uomo di superare in certo modo la “sorte mortale e il tempo<br />
finito di vita” è la conoscenza, l’”indagine <strong>della</strong> natura”, in virtù <strong>della</strong> quale il sapiente è assunto “all’infinito<br />
e all’eterno”, in quanto ha contemplato”quello che è ora e sarà e fu nel tempo tras<strong>cor</strong>so”. 476<br />
L’esistenza del male dimostra, poi, che la divinità non provvede alle cose del mondo. 477<br />
465 Sent. Vat., 29.<br />
466 “E non so davvero concepire quel bene, se sopprimo quei piaceri che si percepiscono col gusto, e sopprimo queli<br />
di Venere, e quelli dell’udito e dei canti, e sopprimo anche quei soavi moti che dalle forme traggono gli occhi o quali<br />
altri piaceri nascono da qualsivoglia senso in tutto l’uomo. Né è vero che solo la letizia spirituale stia nell’ordine dei<br />
beni; perché anche la mente so che si allieta così: nella speranza di quanto ho detto, cioè nel godimento di piaceri la cui<br />
natura è di rimanere esenti da dolore” (Fr. 67 Usener). Questa difesa <strong>della</strong> naturalità dei piaceri dei sensi è diretta<br />
contro le polemiche antiedonistiche dei platonici e di Aristotele. “Chi dunque segue la natura e non le varie opinioni in<br />
ogni caso basta a se stesso” (Fr. 202 Usener).<br />
467 “Come i febbricitanti che a causa del male hanno sempre sete, così i malati dell’anima mancano sempre di tutto e<br />
sono spinti ai più vari desideri dalla loro avidità” (Fr. 471 Usener).<br />
468 Cfr. Sent. Vat., 35.<br />
469 Fr. 491 Usener.<br />
470 Sent. Vat., 55.<br />
471 Ep. a Men., 132. Epicuro ammette che la giustizia deve improntare i rapporti intersoggettivi. Così, “fra gli animali<br />
che non poterono fare patti per non apportare né subire danni, non si dà giusto né ingiusto; e così fra i popoli che non<br />
poterono o non vollero stabilire patti per non danneggiare né essere danneggiati” (Mass. Cap., 32). Ogni legge ha senso<br />
in quanto risulta conforme all’utile <strong>della</strong> reciproca convivenza. “Ciò che è attestato come utile nei bisogni <strong>della</strong><br />
convivenza reciproca ha il carattere del giusto” (Ib. 37). Così, nonostante l’identità formale, vi è varietà di contenuto del<br />
giusto e del diritto secondo l’utile sociale. “Perciò quando sono intervenuti mutamenti nelle condizioni, per cui non<br />
giovano più le medesime norme prescritte come giuste, allora si deve dire che erano giuste prima, quando giovavano<br />
alla convivenza civile; dopo, quando non giovarono più, non furono più giuste” (Ib., 38).<br />
472 Da cui la massima per cui “è meglio vivere ignorato” (Fr. 55 Usener).<br />
473 Fr. 519 Usener. “Il giusto è quanto mai sereno, l’ingiusto pieno del più grande turbamento” (Mass. Cap., 17).<br />
474 “Non la natura, unica per tutti gli esseri, fece gli uomini nobili o ignobili, ma le azioni loro e le disposizioni<br />
spirituali” (Fr. 58 di Diogene En.).<br />
475 Fr. 210 Usener.<br />
476 Sent. Vat., 10.<br />
477 Infatti, se Dio vuole impedire il male e non può, allora è impotente (il che è contraddittorio col concetto stesso<br />
<strong>della</strong> divinità); se può e non vuole, è invidioso (il che non si addice a Dio, che, essendo perfetto, non può invidiare ciò<br />
che è imperfetto e limitato); se insieme non può e non vuole, è del pari imperfetto e invidioso; se, infine, vuole e può,<br />
non si capisce perché effettivamente non lo fa e lascia che il male si diffonda nel mondo. Rimane la conclusione che la<br />
divinità non provvede alle cose del mondo (Fr. 374 Usener); invece “nulla essa fa, da nessuna occupazione è presa, a<br />
nessuna opera lavora, ma solo gode <strong>della</strong> sua sapienza e virtù” (Cicerone, De natura deorum, I, 19, 51).