Storia popolare della filosofia - prova-cor
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l’uomo non la vivrà in quanto uomo, ma in quanto un che di divino è presente in lui”. 370 Così l’uomo trova la<br />
condizione <strong>della</strong> felicità nella sua natura stessa e non in qualche bene esterno.<br />
Tuttavia, se la virtù propria dell’uomo è quella dell’anima e non quella del <strong>cor</strong>po, bisogna ammettere che<br />
l’anima umana ha una triplice funzione, che cioè essa non è solo ragione ma comprende anche la funzione<br />
vegetativa, che in nessun modo partecipa alla ragione, e la funzione appetitiva, che in qualche modo ne<br />
partecipa e ad essa si sottomette. Perciò si deve intendere in due sensi la stessa facoltà razionale: come attività<br />
puramente razionale, cioè come attività dell’intelletto, e come attività appetitiva sotto la guida <strong>della</strong> ragione<br />
(in tal caso la ragione guida e orienta l’attività pratica dell’uomo). Da una parte abbiamo l’attività intellettiva<br />
propria <strong>della</strong> conoscenza e dall’altra parte l’attività pratica, etica e politica. Perciò Aristotele distingue le<br />
virtù dianoetiche e le virtù etiche. 371<br />
Comunque, la virtù attua la perfezione dell’uomo; e l’uomo, agendo secondo ragione, attua il proprio<br />
essere, realizza la sua natura. A ciò con<strong>cor</strong>rono entrambe le serie di virtù. 372<br />
Le virtù etiche si formano attraverso l’abitudine: esse, infatti, sono abiti di comportamento ed “etica” deriva<br />
da “ethos”, che vuol dire “costume”, comportamento seguito normalmente. Nell’individuo vi sno i germi<br />
naturali delle virtù; ma questi non si sviluppano spontaneamente. Perciò non possiamo dire che le virtù si<br />
generano dalla natura. 373<br />
La virtù è anche “giusto mezzo” tra due stremi, che sono vizi. 374<br />
La virtù etica per eccellenza è la giustizia. Questa può essere considerata non già come una particolare<br />
virtù tra le altre, bensì come “la virtù intiera”, così come l’ingiustizia “non è più forte del vizio, ma tutto<br />
intiero il vizio”. 375 Così si può dire giusto ogni atto che sia conforme alla virtù.<br />
Aristotele distingue due specie di giustizia: la distributiva e la commutativa. Per quanto riguarda il primo<br />
aspetto, la giustizia attua il “giusto mezzo” nei rapporti tra le persone. Medierà e uguaglianza devono<br />
caratterizzare i rapporti umani e quelli degli uomini con le cose. La giustizia distributiva riguarda<br />
l’uguaglianza che deve sussistere nei rapporti tra le persone attraverso le cose, con particolare riguardo al<br />
possesso dei beni materiali da parte dei membri di una società. In una società di eguali un individuo (A) che<br />
possiede determinati beni (B) deve avere la stessa condizione di qualsiasi altro individuo (C) che possiede<br />
altri beni (D).<br />
La giustizia commutativa si ha negli scambi volontari e involontari. Nello scambio, cioè, oc<strong>cor</strong>re che gli<br />
individui abbiano sempre beni di eguale valore (sia prima che dopo lo scambio), cioè che essi non abbiano né<br />
perdita né guadagno. 376<br />
Altra virtù fondamentale è l’amicizia, che Aristotele non esita a definire come “la cosa più necessaria alla<br />
vita. 377 L’amicizia si esprime specialmente nell’aiutarsi e beneficiarsi reciprocamente. 378 La motivazione<br />
dell’amicizia è nell’attitudine dell’uomo a compiere azioni disinteressate e tali per cui il solo compierle è<br />
370 Et. Nicom., X, 7, 1177. Perciò « non bisogna, come alcuni esortano, che l’uomo, perché tale, concepisca solo cose<br />
umane, e, perché mortale, solo cose mortali; ma per quanto può si faccia immortale, e faccia di tutto per vivere secondo<br />
ciò che vi è di più eccellente in lui” (Et. Nicom., X, 7, 1178).<br />
371 “Si distinguono pertanto anche le virtù secondo tale differenza: abbiamo infatti le une, dianoetiche (intellettuali),<br />
e le altre, etiche (morali): dianoetiche la sapienza, l’intelligenza, la prudenza; etiche la liberalità, la temperanza e così<br />
via” (Et. Nicom., I, 13, 1102).<br />
372 “E’ evidente dunque […] che non vi può essere veramente buono senza saggezza, né saggio senza virtù etica” (Et.<br />
Nicom., VI, 13, 1145). E insieme alla saggezza si danno tutte le altre virtù, poiché la saggezza dà all’uomo l’abito <strong>della</strong><br />
virtù secondo cui ogni comportamento è guidato dalla ragione.<br />
373 Infatti, “di quanto s’ingenera di natura, prima rechiamo in noi la potenza, poi da questa produciamo l’atto” (Et.<br />
Nicom., II, 1, 1103). “Le virtù invece le conseguiamo operando prima, come nelle altre arti; perché ciò che si deve avere<br />
appreso per farlo, questo l’impariamo facendo, come si diventa costruttori costruendo e suonatori di cetra suonando.<br />
Così anche, operando atti giusti e saggi e forti, diventiamo giusti e saggi e forti”.<br />
374 Et. Nicom., V, 1, 1130.<br />
375 Et. Nicom., V, 1, 1130.<br />
376 Et. Nicom., V, 4, 1132. « Perciò bisogna che le cose, di cui v’è scambio, siano in qualche modo comparabili: al<br />
qual fine fu inventata la moneta, che è come un mezzo: perché tutto misura, quindi anche il più e il meno […]. Ci sarà<br />
dunque reciprocità quando sia ristabilita l’uguaglianza” (V, 5, 1133),<br />
377 Et. Nicom., VIII, 1, 1155. Anche l’amicizia è basata sulla natura umana ed è espressione <strong>della</strong> originaria bontà e<br />
positiva disposizione dell’uomo a compiere il bene. “L’amicizia perfetta è dei buoni e simili per virtù […]: essi sono di<br />
tal animo per se stessi e non per circostanze esterne: permane dunque la loro amicizia finché restano buoni; e la virtù è<br />
duratura” (V, 3, 1156).<br />
378 Et. Nicom., VIII, 13, 1162. « Amico è chi vuole e fa il bene (o quel che tale gli sembri) per amore dell’amico, e<br />
vuole che l’amico si conservi per lui stesso: che è il sentimento delle madri verso i figli e degli amici anche nelle<br />
divergenze” (IX, 4, 1166).