Storia popolare della filosofia - prova-cor
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De legibus. Il dialogo in tre libri, composto verosimilmente nel 44, si svolge tra Attico, Cicerone e il fratello<br />
Quinto. E’ un trattato di <strong>filosofia</strong> del diritto. 519 Nel I libro si tratta dell’origine del diritto e dei fondamenti<br />
naturali <strong>della</strong> legge e dell’obbligazione giuridica. Negli altri due si richiamano le principali norme che fanno<br />
dello stato romano un modello di ordine politico fondato sulla legge e si ri<strong>cor</strong>dano i doveri e le funzioni dei<br />
magistrati rispetto al mantenimento e al governo dell’ordinata vita comune.<br />
La personalità di Cicerone. La personalità di Cicerone occupa tutta la prima metà del I secolo a. C. (dal 106 al<br />
43). Cicerone si trovò giovanissimo nell’orbita <strong>della</strong> nobiltà più illuminata che si era formata nell’atmosfera<br />
del “circolo degli Scipioni”; seguì, infatti, gli Scevola, “tutti e due aperti a quella <strong>filosofia</strong> stoica di Panezio,<br />
che, una generazione prima di loro, si era trovata così in consonanza con gli ideali che veniva perseguendo la<br />
parte illuminata del partito senatorio”. 520 Al momento dell’assunzione <strong>della</strong> toga virile, scrisse i Retorici libri<br />
(De invenzione). Cicerone prendeva posizione contro gli “audaces” che intendevano mettere l’oratoria nelle<br />
mani dei “populares”, togliendola all’esclusivo uso dei “sapientes” (in realtà i maestri greci ai quali<br />
attingevano i rappresentanti dell’ordine senatorio). A Roma egli quindi subì il fascino di Filone di Larissa, un<br />
accademico che aveva riformato lo scetticismo di Carneade in senso moderato e che aveva riproposto il<br />
metodo <strong>della</strong> dialettica, con l’esame parallela delle tesi sostenute intorno alle varie questioni. Fin da<br />
giovanissimo, dunque, Cicerone venne attratto dalla <strong>filosofia</strong>. In particolare, si orientò verso le posizioni<br />
accademiche di Filone e poi verso quelle platoniche di Antioco di Ascalona, ma anche verso quelle stoiche di<br />
Panezio. L’interesse per la <strong>filosofia</strong> dovette aumentare in occasione del viaggio ad Atene, dove, insieme al<br />
fratello Quinto e all’amico Pomponio Attico, ascoltò le lezioni dei capiscuola, specialmente quelle di Antioco<br />
e dell’epicureo Fedro (ma convincendosi allora <strong>della</strong> scarsa affinità con una <strong>filosofia</strong> materialistica che<br />
sosteneva l’opportunità di mantenersi estranei alla vita politica).<br />
La retorica: il “De oratore”. Il De oratore, in tre libri, scritto nel 55, è un dialogo che s’immagina avvenuto nel<br />
91 tra i maggiori rappresentanti dell’oratoria, Antonio e Crasso, considerati come gli esponenti dell’autentica<br />
oratoria “politica”, cioè di quell’attività che costituiva la forma più consapevole di assunzione di<br />
responsabilità pubbliche e di difesa del bene comune. Successivamente (nell’epoca in cui Cicerone scriveva)<br />
l’oratoria era degenerata a strumento di lotta per il potere. Dopo un’esaltazione dell’eloquenza. Nel I libro<br />
Licinio Crasso parla <strong>della</strong> formazione dell’oratore, che deve soprattutto alimentarsi di <strong>filosofia</strong>, come<br />
consapevolezza <strong>della</strong> natura umana e dei doveri del cittadino. Nel II libro Antonio tratta dell’inventio, cioè<br />
dei problemi relativi alla disposizione del dis<strong>cor</strong>so in rapporto allo sviluppo dell’argomento. Nel III libro<br />
Crasso illustra il problema <strong>della</strong> forma, rilevando che essa è strettamente congiunta al contenuto, e discute<br />
intorno a questioni specifiche di stile (elocutio). 521<br />
Nel marzo del 46 Cicerone terminava di scrivere un’altra opera retorica, il Brutus, in cui si traccia un<br />
profilo <strong>della</strong> storia dell’oratoria in quanto riflesso <strong>della</strong> stessa evoluzione <strong>della</strong> vita politica a Roma. Gli<br />
interlocutori sono Bruto e Attico.<br />
Nell’Orator, scritto nel 46, Cicerone tracciò, quindi, un profilo del perfetto oratore.<br />
Tuscolane, libro I.<br />
Cicerone torna alla <strong>filosofia</strong>, agli “studi prediletti”, interrotti per tanto tempo. Egli si sofferma a illustrare,<br />
nei paragrafi introduttivi, le caratteristiche <strong>della</strong> cultura romana, mettendo in evidenza come lo spirito<br />
pratico e interamente rivolto all’espansione del dominio politico abbia determinato un notevole ritardo nello<br />
sviluppo di quelle esperienze culturali, come ad esempio la poesia, che sono state precoci presso i Greci. Nel<br />
confronto tra le due civiltà, egli mette in luce le differenze. Non manca perciò di rilevare una certa<br />
519 “Si presenta così un diritto nuovo, nato ex intima philosophia, ma che trova le radici nel ius naturale e attraverso il<br />
mos maiorum arriva a un ius civile. Vale a dire che il fondamento del diritto precede ogni legge concreta (I 6, 19); in<br />
realtà siamo di fronte a una trattazione profondamente filosofica che parte dalle origini dell’essere umano e dalla sua<br />
posizione finalistica nell’universo. E’ difficile oggi dire quanto è di origine medio-stoica (Panezio), quanto deriva<br />
dall’insegnamento di Antioco d’Ascalona (certo i tocchi mistici e platonici); an<strong>cor</strong> più difficile quantificare il contributo<br />
originale di Cicerone stesso” (A. Grilli, in <strong>Storia</strong> <strong>della</strong> civiltà letteraria greca e latina, UTET, Torino 1998, vol. II, p.<br />
527)<br />
520 Alberto Grilli, l. cit., p. 507. Quinto Mucio Scevola augure e il suo omonimo pontefice massimo erano tra i più<br />
famosi giuristi. Cicerone venne anche introdotto alla scuola dei maggiori oratori, Licinio Crasso e Marco Antonio.<br />
521 “Se il trattato è un capolavoro, lo si deve certo all’inarrivabile competenza dell’autore, l’unico a Roma che avesse<br />
studiato a fondo la retorica dei Greci, che avesse affrontato la cultura filosofica attraverso le varie scuole, cogliendone il<br />
valore; ma soprattutto lo si deve alla sua sovrana capacità di rendere (o saper creare) il linguaggio e lo stile d’una<br />
conversazione dell’alta società politica e culturale” (A. Grilli, l, cit., p. 521).