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Storia popolare della filosofia - prova-cor

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Il dolore e la sofferenza sono vie per la conoscenza. L’esistenza è rischio. L’intera vita dell’uomo è rischio continuo. Il<br />

filosofo rinuncia alla felicità: la sua vita è un itinerario di ricerca; egli non raggiunge mai una meta definitiva, in quanto<br />

il sapere è sempre posizione di nuove domande, sollecitazione e richiesta di nuovo sapere. Il filosofo è destinato<br />

all’inquietudine.<br />

La consapevolezza intorno alla condizione umana costituisce la direzione stessa del cammino dell’uomo<br />

greco: si tratta di un itinerario che Hegel traccerà nella mirabile sintesi <strong>della</strong> Fenomenologia. Eschilo mostra la<br />

grande funzione catartica del dolore, come via <strong>della</strong> conquista <strong>della</strong> celebre sapienza intorno al mondo degli<br />

uomini. Attraverso il dolore l’uomo acquista la coscienza di sé, soprattutto del suo essere limitato e gettato nel<br />

mondo. La beatitudine è riservata solo agli dèi; agli uomini è riservata una condizione di infelicità e di<br />

angosciosa tensione. Sofocle rappresenta questa consapevolezza come una condizione di appagamento, di<br />

lucida consapevolezza intorno a ciò che appartiene all’uomo e di ciò che, invece, è proprio <strong>della</strong> divinità.<br />

Un singolare “archetipo” proprio di un mitologema che il Kerényi ha ampiamente illustrato 26 riguarda il destino<br />

tragico di Niobe, la madre condannata ad assistere allo spettacolo dei figli colpiti dall’invidia di Artemide e abbattuti<br />

dalle saette <strong>della</strong> dea e del fratello Apollo, quindi pietrificata dal dolore e trasformata in fonte perenne di lacrime che<br />

testimoniano tutte le vicende dolorose.<br />

Certo nel mito di Niobe si rappresenta la follìa dell’uomo che intende gareggiare con la divinità, la ybris o<br />

tracotanza alla quale l’uomo è portato per il potere meraviglioso e i molteplici doni che pure sono in suo<br />

possesso e che destano persino l’invidia degli immortali. Eppure la storia degli uomini è anche questa sfida<br />

continua nei confronti <strong>della</strong> natura o <strong>della</strong> misteriosa forza che alimenta la generazione continua delle cose.<br />

Artemide, anche se non ha partorito figli, rappresenta comunque un aspetto <strong>della</strong> potenza generatrice <strong>della</strong><br />

donna, è comunque una figura <strong>della</strong> maternità universale. E contrapporre a questa potenza divina la<br />

magnificenza umana, la grande prolificità <strong>della</strong> donna terrena, costituisce comunque un atto di superbia che<br />

l’implacabile ira divina non risparmia dalla orrenda punizione. Tutto è dono degli dèi, tutto proviene dalla<br />

divinità. Questo vuol dire la figura di Niobe impietrita e divenuta fiume di lacrime.<br />

Forma ed evento: le radici <strong>della</strong> metafisica<br />

Nell’ambito <strong>della</strong> cultura greca la conoscenza scientifica è riservata alle strutture permanenti, alle “essenze”<br />

immutabili, mentre per le cose del mondo, che nascono e muoiono, appaiono e scompaiono, si può avere solo una nozione<br />

approssimativa, soggetta all’instabilità dell’opinione: Tale, ad esempio, è la descrizione delle cose a partire<br />

dall’esperienza sensibile e tale è la conoscenza “storica”. Degli enti particolari, le cui qualità e la cui struttura stesa<br />

sono variabili, si dà una rappresentazione provvisoria, un’opinione soggettiva, relativi ai modi in cui si declina<br />

l’esperienza. Invece delle “forme” immutabili (le “idee” o le “essenze”) si dà una scienza esatta, basata<br />

sull’intelligibilità stessa e, dunque, su un’intuizione intellettiva o razionale. La <strong>filosofia</strong> è apparsa come lo sviluppo di<br />

questo tipo di conoscenza puramente intellettuale, che coglie le strutture razionali in cui si articola la realtà.<br />

La cultura greca è attraversata dal problema del rapporto tra l’impalcatura immobile del reale (ciò che si è<br />

costituito nel tempo mitico) e il fluire delle cose, l’inarrestabile vicenda del divenire (ciò che accade nel tempo<br />

storico). Tutto ciò che accade reca l’impronta delle leggi generali del divenire. “Forma” ed “evento” (secondo<br />

la felice espressione di Carlo Diano) sono i due piani entro i quali s<strong>cor</strong>re la vicenda del reale, che è insieme<br />

struttura e “forma” permanente, e incessante e infinito processo di formazione e trasformazione<br />

dell’esistente. Il reale viene articolandosi come “esistenza”, rapporto tra l’immutabile struttura e legge<br />

dell’essere e la mutevole “eventualità” dei fatti e delle cose. La metafisica riguarda la sfera immutabile,<br />

l’essere, le scienze particolari considerano le molteplici manifestazioni dell’esistenza. Prima che Parmenide<br />

parlasse esplicitamente dell’essere, questo termine appartiene già alla concezione greca nella sua forma più<br />

originaria. L’accadere ha la sua radice nell’immutabile decreto del Fato, in una legge che appartiene<br />

all’essere. Ciò che è dell’essere è necessario ed eterno, costituisce la forma <strong>della</strong> realtà; perciò non è toccato<br />

dal non-essere, che è accidentale e provvisorio.<br />

L’affermazione del “logos”<br />

26 Cfr. K. Kerényi, Prometeo e Niobe due archetipi del modo d’esistere umano, in “Atti del Congresso internazionale<br />

di <strong>filosofia</strong>”, vol. II, Milano 1948, pp. 269-277.

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