Storia popolare della filosofia - prova-cor
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loro “essere” immutabile). Il per<strong>cor</strong>so interiore <strong>della</strong> reminiscenza (la lotta dello spirito per liberarsi dai<br />
vincoli <strong>della</strong> sensibilità e conseguire una visione puramente intellettiva), anche se muove dall’esperienza<br />
delle cose sensibili, conduce, infine, attraverso un adeguato esercizio (che comprende, in particolare, lo<br />
sviluppo del pensiero matematico), all’intuizione delle idee.<br />
La conoscenza filosofica riguarda, dunque, i modelli perfetti degli enti sensibili. Così si ha, tra l’altro, la<br />
conoscenza dello Stato ideale, basato sull’idea <strong>della</strong> giustizia in sé.<br />
Ma com’è possibile che il per<strong>cor</strong>so <strong>della</strong> conoscenza dal piano <strong>della</strong> sensibilità e dell’esperienza compia il<br />
salto qualitativo al piano <strong>della</strong> pura intelligibilità? Com’è possibile, ad esempio, oltrepassare l’immagine<br />
sensibile dell’uomo, ossia tutto ciò che intorno all’uomo si riesce a conoscere mediante l’esperienza, per<br />
attingere una comprensione puramente intellettuale (come se l’uomo fosse un puro ens rationis)?<br />
A una riflessione più approfondita, sembra che la conoscenza di un ente che ha una realtà sensibile non<br />
possa prescindere dal piano dell’esperienza, ma che debba rimanere comunque legata ad esso, sia pure nella<br />
forma di un per<strong>cor</strong>so circolare (come Platone precisa nell’excursus teorico <strong>della</strong> VII Lettera).<br />
L’esigenza di una circolarità nell’ambito <strong>della</strong> conoscenza implica un analogo per<strong>cor</strong>so circolare sul piano<br />
reale. Perciò Platone sottopone a revisione critica la concezione del rapporto tra le idee e gli enti sensibili. Egli<br />
esamina le aporie alle quali va incontro la dottrina delle idee come entità reali perfette, immutabili,<br />
intelligibili, separate dagli enti sensibili e, nello stesso tempo, modelli di essi. Nel Parmenide, così, mette in<br />
rilievo le difficoltà derivanti da entrambi i modi in cui si può concepire quel rapporto: la partecipazione e<br />
l’imitazione.<br />
Se le idee sono separate dagli enti sensibili e questi, tuttavia, partecipano di esse, si ha che le idee vengono<br />
coinvolte nel processo di generazione e <strong>cor</strong>ruzione degli enti, e così perdono la loro unità e immutabilità.<br />
Se le idee hanno in comune qualcosa con gli enti sensibili (appunto ciò che questi prendono da esse<br />
imitandole), si deve ammettere che ogni volta che si stabilisce questa comunanza, si rimanda a un’altra idea<br />
che contiene ciò che è comune all’idea e all’ente sensibile (ad esempio, dall’idea di “uomo” a quella di<br />
“uomo saggio”), e poi a un’altra idea an<strong>cor</strong>a che abbia in comune quel carattere con un altro ente sensibile<br />
(all’idea di “uomo saggio e buono”) e così via all’infinito (argomento del “terzo uomo”, ripreso da<br />
Aristotele).<br />
D’altra parte, le idee concepite come entità immutabili, che fanno parte di un mondo interamente altro<br />
rispetto a quello sensibile, risultano del tutto inconoscibili, in quanto il pensiero è movimento, processo<br />
dialettico, e può riguardare, dunque, ciò che appartiene all’ordine di un simile processo. Le idee sono<br />
conoscibili se anch’esse appartengono a un ordine dialettico, basato sul movimento.<br />
Platone modifica la sua dottrina delle idee in questo senso, dimostrando che anche le idee fanno parte di un<br />
ordine dialettico, che non è basato semplicemente sull’unità, sull’essere, sull’identità, sulla immobilità e<br />
immutabilità, bensì anche sulla molteplicità, sul non-essere, sulla differenza (o diversità), sul moto e sul divenire.<br />
Nella seconda parte del Parmenide, Platone dimostra l’implicazione reciproca di unità e molteplicità. Se l’uno è,<br />
egli argomenta, se cioè si ammette la posizione eleatica, consegue che l’identità assoluta implica<br />
l’impossibilità che essa sia pensata ed espressa in un giudizio (poiché il giudizio implica già la distinzione tra<br />
il pensante e il pensato). Perciò l’uno deve essere posto in rapporto dialettico col molteplice. Il nesso uno/molti<br />
costituisce una struttura metafisica fondamentale. Non è concepibile una sostanza immutabile e<br />
assolutamente identica, separata dalla molteplicità degli enti. Invece tale nesso rende l’uno conoscibile e<br />
determinabile, così come rende determinati e intelligibili i molti (che non sono altro che determinazioni<br />
dell’uno).<br />
Nel Sofista, Platone spiega la funzione positiva del non-essere. Poiché l’essere non può rimanere<br />
assolutamente indifferenziato, ma deve determinarsi, il non-essere (in quanto si riferisce alle determinazioni<br />
che non sono realizzate) non può essere inteso come l’assoluto contrario dell’essere, cioè come ciò che<br />
assolutamente non-è (e in modo che si debba escludere qualsiasi sua appartenenza alla sfera dell’essere),<br />
bensì deve essere concepito come il diverso, cioè come un altro modo di essere (il modo d’essere <strong>della</strong><br />
negazione e <strong>della</strong> privazione). Il non-essere con<strong>cor</strong>re alla determinazione, nella stessa misura in cui vi con<strong>cor</strong>re<br />
l’essere.<br />
L’essere, in quanto processo di determinazione di sé col con<strong>cor</strong>so del non-essere, è moto; ma nello stesso<br />
tempo non perde mai la sua identità, dunque è anche quiete. Esso è, insieme, identico e diverso.<br />
Il pensiero segue l’intrinseco movimento <strong>della</strong> realtà: esso coglie il reale nel suo duplice carattere di<br />
identità e diversità: perciò è dialettico. Esso ha il compito di comprendere il reale nella sua identità ma anche<br />
in quanto è generatore di altra realtà.<br />
Essere/non essere, quiete/moto, identico/diverso sono le condizioni universali del prodursi <strong>della</strong> realtà; e sono,<br />
nello stesso tempo, le categorie fondamentali del pensiero. Questo, d’altra parte, è concepito come intrinseco<br />
alla struttura del reale. Il reale, infatti, è tutt’uno con la sua struttura logico-razionale, cioè con la sua verità.